
Arrivano all’improvviso, senza preavviso. Una nota musicale, una frase pronunciata nel momento giusto, un’immagine potente, un ricordo che sfiora il presente. E il corpo reagisce. Brividi lungo la schiena, pelle d’oca, talvolta un fremito che attraversa il petto o la nuca. È il frisson, quel microterremoto sensoriale che si attiva quando qualcosa ci colpisce nel profondo. Non è paura, non è freddo, non è nemmeno eccitazione pura. È una scintilla neurofisiologica che rivela quanto mente e corpo siano meno separati di quanto ci piaccia credere. E soprattutto, quanto abbiamo ancora bisogno di emozionarci.
Frisson: il brivido che svela l’anima
Il termine viene dal francese e significa semplicemente brivido, ma nel lessico contemporaneo indica una reazione specifica: una scarica fisica a uno stimolo estetico o emotivo particolarmente intenso. Non è casuale che si presenti spesso durante l’ascolto di musica, davanti a opere d’arte, in scene cinematografiche particolarmente potenti o mentre leggiamo parole che toccano corde profonde. In pratica, quando ciò che vediamo o sentiamo risuona con qualcosa che ci appartiene, anche se non sappiamo bene cosa. Il frisson è una sorta di messaggio criptato del nostro sistema nervoso: qui c’è qualcosa di vero.
Ma che succede, scientificamente parlando?
Il frisson è legato a un rilascio improvviso di dopamina, accompagnato da una momentanea attivazione del sistema nervoso autonomo. Si osservano variazioni della conduttanza cutanea, piccoli cambiamenti nella frequenza cardiaca, e nei casi più intensi persino lacrimazione involontaria. La parte interessante? Queste reazioni si scatenano in assenza di pericolo reale o stimoli fisici diretti. Solo attraverso la percezione estetica. In particolare, si attivano aree cerebrali legate alla ricompensa, come lo striato ventrale, insieme a circuiti emotivi più profondi. Il cervello, in pratica, reagisce a un’idea o a una bellezza come se fosse un evento vitale. Per lui, lo è.
Non tutti provano frisson. Perché?
Ecco il punto delicato. Non siamo tutti uguali. Alcune persone sembrano essere neurobiologicamente predisposte al frisson, altre no. Le ricerche suggeriscono che chi ha una maggiore connettività tra corteccia uditiva e corteccia prefrontale – cioè chi elabora in modo più complesso gli stimoli sensoriali – tende a sperimentare il fenomeno più spesso. Non è snobismo neurologico, è pura struttura cerebrale. Tuttavia, anche la cultura e la disposizione emotiva contano. Una mente allenata alla sensibilità, al contatto con l’arte, alla sospensione del giudizio, ha più probabilità di vibrare. Il frisson, insomma, è anche un atto di apertura.
Un termometro emotivo nell’era dell’anestesia
Nel nostro mondo iperstimolato e spesso anestetizzato, il frisson è un miracolo di autenticità. Ci ricorda che siamo ancora capaci di lasciarci attraversare. In un’epoca in cui tutto viene schedato, semplificato, filtrato, misurato, il brivido estetico sfugge a ogni controllo. È un momento di verità irriducibile, una crepa nella corazza. Per questo vale la pena riconoscerlo, coltivarlo, cercarlo. Anche se dura solo tre secondi, è il corpo che ci dice: ecco, questo ti riguarda.
Dove lo troviamo più spesso? Cinema, musica, natura
La musica è il generatore di frisson per eccellenza. Un crescendo orchestrale, un cambio improvviso di armonia, una voce che graffia. Ma anche il cinema sa colpire nel profondo, con quelle scene in cui l’emozione ci coglie alla sprovvista. Lo stesso vale per la natura, in momenti in cui ci sentiamo parte di qualcosa di più grande: una vetta improvvisa tra le nuvole, il silenzio di un bosco, la luce che cambia su un lago. In quei momenti, la ragione cede il passo a qualcosa di più arcaico e potente. Ed è bellissimo.