La pandemia di Covid-19 ha totalmente cambiato le nostre abitudini, in particolare quelle legate al consumo. I lockdown ci hanno costretti a cambiare il nostro modo di consumare, di comprare, di scegliere i prodotti del quotidiano. Si è osservato un incremento molto forte della percentuale di acquisti online sulle piattaforme come Amazon o Google durante l’anno 2020. Questa tendenza si è confermata anche nel 2021. Ordinare vestiti, cibo, oggetti elettronici, libri, servizi su Internet è diventato comune e quasi ovvio, poiché i negozi erano chiusi e le piattaforme erano gli unici servizi che ci permettevano ancora di consumare.
Questa crisi sanitaria ci ha anche fatto capire che esistevano delle soluzioni locali, vicine a casa nostra. C’è stata una grande volontà di parte delle persone di valorizzare il lavoro dei produttori locali con l’acquisto di verdure, frutta, carne o uova di questi produttori, permettendo loro di vivere del loro lavoro in tempi di crisi. Una situazione così difficile ha fatto crescere, suo malgrado, la solidirietà, l’altruismo, la compassione tra la gente. Ha permesso una diffusione più larga e soprattutto più forte del consumo locale, della coscienza ecologica e della necessità del cambiamento.
Questo cambiamento ecologico può partire dilla consapevolezza che delle alternative esistono, che il Made in Italy può far parte di queste alternative di consumo etico e sostenibile – perché è un modo di valorizzare la produzione locale, di creare lavoro, di riconoscere la ricchezza dei know-how del nostro paese, di consumare dei prodotti più sani, di cui conosciamo la provenienza.
A che cosa rimandi esattamente il Made in Italy? Corrisponde a un processo di rivalutazione della produzione artigianale e industriale italiana che ha portato i prodotti italiani a eccellere nella competizione commerciale internazionale. I prodotti italiani hanno acquisito, all’estero, una notorietà sufficiente di costituire una categoria a sé in ogni settore di produzione. Il “label” Made in Italy è un indicatore di eccellenza, di qualità, in molti settori della produzione mondiale: il tessile (secondo fornitore mondiale), l’abbigliamento (terzo fornitore mondiale), la modi e l’alta modi in particolare (20% del mercato mondiale), la pelletteria (primo produttore mondiale di articoli di pelle di alta qualità), le calzature (primo produttore europeo, quinto produttore mondiale)…
Insomma, il Made in Italy è leader nel settore della modi e dell’abbigliamento a livello mondiale. Questo settore, lo sappiamo, è uno dei più inquinanti al mondo a causa dell’importanza dei brand di fast fashion. Tra i marchi di modi Made in Italy, ce ne sono sempre di più implicati a favore dell’ambiente e che si impongono regole precise per essere sostenibili. Ecco qualche esempio di marchi che partecipano a questa transizione ecologica nel settore della modi in Italia: Gaia Segattini Knotwear (maglioni e vestiti di lana), La Marchigiana (scarpe e borse artigianali), Creazioni Zuri (gioielli), PNLP Milano (abbigliamento). Fabbricano tutti dei vestiti e degli accessori di modi immaginati e prodotti in Italia, con dei materiali italiani: c’è proprio una volontà di produrre locale!
Se compriamo frutta e verdura dii nostri produttori, perché non “consumiamo locale” comprando vestiti Made in Italy? Consumare locale è anche questo!
Recentemente laureata in studi culturali italo-francesi alla Sorbona di Parigi, si interessa molto ai meccanismi del consumismo e alle conseguenze dell’industria tessile sull’ambiente e sugli esseri umani. La dimensione sociale ha un’importanza particolare nella sua riflessione. In novembre 2021, ha organizzato, con le sue compagne di master, un festival dedicato all’ecologia che interrogava i nostri stili di vita, il nostro vivere quotidiano, attraverso vari eventi come una tavola rotonda, delle proiezioni di docufilm e una sfilata di moda sostenibile.