Italia cimitero di impianti sciistici: ecco i dati

Il numero di impianti sciistici dismessi in Italia ha raggiunto quota 265 nel 2025, a causa della crisi climatica e della scarsità di neve. Il sistema attuale, dipendente dalla neve artificiale, è insostenibile e costoso. Cresce l’urgenza di riconvertire il turismo montano in chiave sostenibile.

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    L’Italia, un tempo patria di vacanze invernali sognate da mezza Europa, si ritrova oggi a fronteggiare una delle sue metamorfosi più crude. Le piste innevate, icone di un turismo ormai anacronistico, stanno scomparendo sotto il peso della crisi climatica e dell’insensatezza economica. Il 2025 ha segnato un nuovo record — non di innevamento, ma di abbandono e di impianti sciistici dismessi. Da nord a sud, lo scenario è lo stesso: seggiovie arrugginite, skilift spenti, alberghi vuoti. Un cimitero di impianti sciistici, disseminato lungo le Alpi e gli Appennini, racconta la parabola discendente di un’industria che non ha voluto ascoltare il meteo, né la ragione.

    Impianti sciistici dismessi: 265 a fine stagione

    Nel 2020 erano 132. Oggi sono 265. Il numero di impianti sciistici dismessi in Italia è più che raddoppiato in soli cinque anni. Piemonte, Lombardia e Abruzzo guidano la classifica di questa disfatta bianca, con rispettivamente 76, 33 e 31 impianti fuori uso. Un collasso distribuito ma sistematico, che tocca non solo le grandi stazioni ma anche — e soprattutto — i piccoli impianti di valle, quelli che un tempo reggevano l’economia delle comunità montane. Il segnale è inequivocabile: il modello sciistico tradizionale è tecnicamente, economicamente e climaticamente obsoleto. A voler essere ottimisti, si potrebbe definirlo “vintage”. Ma anche i nostalgici devono fare i conti con la gravità.

    Neve artificiale: la droga costosa di un sistema in crisi

    Per sopravvivere, il sistema sciistico italiano si è aggrappato con ostinazione alla neve artificiale. Oggi, il 90% degli impianti ancora attivi ne dipende in modo quasi totale. Un’abitudine che ricorda certi vizi costosi: serve energia, serve acqua, servono milioni. Nel solo Bellunese, a febbraio 2025 sono stati spesi oltre 2 milioni di euro per produrre neve finta. A Sestriere, il conto degli ultimi quattro anni supera i 10 milioni. Il tutto per garantire una parvenza di inverno in territori che non lo conoscono più. E mentre le turbine girano, le montagne si asciugano, i bacini si svuotano, le bollette lievitano. Un carosello insostenibile in ogni senso.

    Neve che non torna: sintomo e simbolo della crisi climatica

    L’assenza di neve non è un capriccio del tempo, ma una conseguenza diretta della crisi climatica. Le Alpi e gli Appennini si stanno tropicalizzando: temperature più alte, inverni più brevi, piogge al posto della neve. Gli scenari futuri sono tutt’altro che incoraggianti, con previsioni che indicano un ulteriore aumento termico e una nevicata naturale sempre più rara. Di fronte a questo quadro, la produzione di neve artificiale suona come un tentativo disperato di combattere il deserto con un annaffiatoio. Mentre il pianeta ci invita a cambiare rotta, il turismo invernale italiano insiste a slittare verso il nulla.

    Turismo dolce o turismo d’élite? Le montagne si svuotano o si svendono

    In risposta alla crisi, alcune località scelgono la riconversione intelligente, promuovendo forme di turismo dolce, lento, sostenibile. Escursioni, ciaspolate, esperienze culturali e gastronomiche offrono nuove possibilità. Ma non tutti seguono questa strada. Cortina d’Ampezzo, ad esempio, si trasforma sempre più in boutique di lusso a cielo aperto, destinata a pochi privilegiati, mentre intere vallate circostanti vengono abbandonate. È la montagna gentrificata: si salva chi può permettersi l’élite, si spegne chi resta legato a un’economia monostagionale e ormai fallita. Le alternative ci sono, ma richiedono visione, volontà politica e, soprattutto, il coraggio di dire addio a un’epoca.

    Il futuro in bilico tra riconversione e resurrezione forzata

    Mentre la natura suggerisce la trasformazione, la politica locale spesso preferisce il restyling. In Piemonte, la Regione sta valutando di usare i fondi del PNRR per rilanciare impianti dismessi, come quello di Palit in Valchiusella. Una scelta che, a voler essere generosi, potremmo definire anacronistica. Rianimare impianti moribondi con soldi pubblici, ignorando l’evidenza climatica, appare più come un’ostinazione nostalgica che una strategia lungimirante. Al contrario, alcune comunità stanno virando con decisione verso la riconversione: attività estive, trekking, mountain bike, centri benessere, turismo educativo. Per queste realtà, la neve non è più una condanna stagionale, ma un ricordo da superare.

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