
Papa Francesco è stato, senza dubbio, il primo pontefice della modernità a imprimere una svolta profonda nella relazione tra fede e sostenibilità ambientale. Non solo per la sua sensibilità personale, ma per l’impronta dottrinale che ha voluto lasciare nella Chiesa universale. Con la pubblicazione dell’enciclica Laudato si’, nel 2015, ha tracciato una linea netta e inequivocabile: la cura del Creato non è una questione opzionale, ma un dovere teologico e morale. E nel 2023, con Laudate Deum, ha rincarato la dose, denunciando apertamente l’inadeguatezza delle politiche ambientali globali. Ora che il suo pontificato si è concluso, la domanda si fa pressante: chi verrà dopo di lui avrà lo stesso coraggio, la stessa lucidità nell’intendere la crisi climatica come una sfida spirituale, oltre che politica ed economica? La sostenibilità ha trovato in Francesco un alleato insperato. E ora?
Laudato si’: un’enciclica che ha fatto storia
Nel maggio del 2015, Papa Francesco pubblica Laudato si’, la prima enciclica interamente dedicata all’ambiente. Un evento storico, non solo per la Chiesa cattolica, ma per il dibattito globale sull’ecologia. In quel testo denso e vibrante, il Papa unisce scienza e teologia, denuncia l’iniquità sociale insita nella crisi climatica e accusa apertamente un modello economico predatorio e cieco. La Terra, afferma, “grida per i danni che le provochiamo”. Con uno stile diretto e una chiarezza rara nei testi magisteriali, Francesco chiama ogni persona, credente o no, a una “conversione ecologica”. È un manifesto spirituale, ma anche politico, che ha influenzato organismi internazionali, accademici e persino vertici delle Nazioni Unite.
Laudate Deum: il grido finale
Otto anni dopo, il 4 ottobre 2023, Francesco pubblica Laudate Deum. Non è un’appendice, ma un aggiornamento urgente e quasi profetico della Laudato si’. Il tono è più severo, più disilluso. Il Papa constata che, nonostante i buoni propositi, il mondo ha fatto troppo poco per contrastare la crisi climatica. La COP27 è definita deludente, le promesse dei governi suonano vuote, e la finanza internazionale viene additata come complice dell’inerzia globale. Non è un richiamo spirituale generico, ma un atto d’accusa. Francesco invita all’azione concreta, chiama per nome i ritardi strutturali, e denuncia l’illusione che il progresso tecnologico possa salvarci senza una rivoluzione culturale. In poche pagine, Laudate Deum diventa uno degli atti più forti e radicali del suo pontificato.
Ecologia integrale: un nuovo paradigma etico
Il cuore della Laudato si’ è il concetto di ecologia integrale. Non si tratta di proteggere la natura per motivi sentimentali o estetici, ma di riconoscere l’interdipendenza profonda tra ambiente, giustizia sociale ed economia. L’inquinamento, il riscaldamento globale, la perdita di biodiversità, dice il Papa, colpiscono in primis i poveri. La crisi climatica è un moltiplicatore d’ingiustizia. E dunque la sua soluzione non può essere tecnica o tecnologica: serve un nuovo paradigma etico, una rivoluzione culturale. Questo approccio ha aperto un solco profondo anche nel pensiero laico, offrendo un vocabolario nuovo per affrontare le emergenze ambientali senza cadere nella retorica o nell’apocalittismo.
Un’eredità ingombrante per il prossimo conclave
L’eredità ecologista di Francesco incombe ora su chi verrà dopo. Non solo perché ha rilanciato la questione ambientale al centro della dottrina sociale della Chiesa, ma perché l’ha resa irrinunciabile. Ignorare o ridimensionare questo impegno equivarrebbe a un tradimento teologico. Sarà difficile, per il prossimo pontefice, evitare la domanda: “E tu, da che parte stai?”. In un’epoca in cui i giovani cattolici sono tra i più sensibili ai temi ecologici, un papato che trascurasse la sostenibilità rischierebbe l’irrilevanza. L’eredità di Francesco non è solo spirituale, è anche politica. E pesa.
La fede che abbraccia la Terra
In un mondo attraversato da catastrofi climatiche, disuguaglianze crescenti e perdita di senso, il messaggio di Papa Francesco suona oggi più attuale che mai. Ha saputo trasformare la fede in uno strumento di lotta ecologica, ha restituito alla spiritualità un ruolo nella gestione del futuro del pianeta. Il suo appello non è stato un episodio isolato, ma parte di una visione ampia, radicale, coerente. Chiunque indossi il suo anello dovrà decidere se raccoglierne l’eredità o sepoltirla sotto il peso delle priorità tradizionali. Ma la posta in gioco è troppo alta per permettersi passi indietro. E lo Spirito, si sa, soffia dove vuole—ma spesso preferisce chi non chiude le finestre.