Il Burkina Faso si aggiunge alla lista dei Paesi nel mondo che, ancora nel 2025, considerano l'omosessualità illegale

Una nuova legge rende l’omosessualità illegale in Burkina Faso, segnando un’inversione storica. Il Paese si unisce a una lista di più di 60 nazioni che mantengono leggi anti-LGBTQIA+, in un panorama globale segnato da repressioni, stigma sociale e derive autoritarie.

Da settembre 2025, l’omosessualità diventa ufficialmente illegale anche in Burkina Faso. La nuova legge, approvata all’unanimità da 71 membri di un parlamento di transizione non eletto, introduce pene detentive da due a cinque anni e multe per chiunque venga giudicato colpevole di “atti omosessuali”. Il testo legislativo è inserito all’interno di una riforma più ampia del codice della famiglia e della cittadinanza, ma si distingue per la sua funzione punitiva e repressiva. La norma prevede inoltre la deportazione degli stranieri coinvolti in relazioni omosessuali.

Si tratta di un’inversione netta rispetto al passato: fino ad ora, il Burkina Faso era uno dei pochi Paesi africani in cui l’omosessualità non era penalmente sanzionata. Un’eccezione che, nel nuovo corso politico guidato dalla giunta militare di Ibrahim Traoré, è stata rapidamente archiviata.

Una legge approvata senza mandato popolare

L’approvazione arriva da un organo legislativo privo di legittimazione elettorale, insediatosi dopo due colpi di Stato susseguitisi nel 2022. Il parlamento di transizione agisce sotto il controllo della giunta militare, in un contesto istituzionale sospeso, segnato da autoritarismo e centralizzazione del potere.

In questo quadro, l’approvazione della legge non può essere separata dal clima politico nazionale, in cui la repressione dell’identità LGBTQIA+ si inserisce in una più ampia strategia di controllo sociale. Il consenso religioso e l’orientamento conservatore della popolazione hanno probabilmente giocato un ruolo nel rendere questa misura non solo possibile, ma addirittura popolare.

Il panorama africano: un trend continentale

Con l’approvazione della nuova legge, il Burkina Faso si aggiunge a un lungo elenco di Paesi africani in cui l’omosessualità è punita penalmente. La criminalizzazione viene spesso giustificata come difesa dei “valori tradizionali”, ma si manifesta sempre più come uno strumento politico e ideologico.

Negli ultimi anni, diversi governi africani hanno rafforzato o introdotto leggi anti-LGBTQIA+, spesso in contesti segnati da crisi politiche, instabilità o populismi autoritari. Il tema diventa così una leva identitaria, utile a consolidare il potere interno e a prendere le distanze dai modelli occidentali, presentati come corrotti o “immorali”.

Dove l’omosessualità è ancora reato nel mondo

Ad oggi, 64 Paesi nel mondo continuano a criminalizzare l’omosessualità. Le legislazioni variano per severità, ma condividono una matrice punitiva che penalizza l’identità sessuale come se fosse un crimine da reprimere. La geografia delle leggi anti-LGBTQIA+ non è uniforme, ma disegna una mappa che si estende su Africa subsahariana, Medio Oriente, Asia meridionale e sudorientale, America centrale e alcune isole del Pacifico e dei Caraibi.

In almeno 12 paesi, tra cui Iran, Arabia Saudita, Mauritania e Uganda, la legge prevede la pena di morte, anche se la sua applicazione non è sempre documentata in modo trasparente. Altri prevedono carcerazioni di lunga durata, lavori forzati, punizioni corporali, multe elevate e misure accessorie come l’espulsione degli stranieri.

Questi sono i Paesi in cui l’omosessualità è illegale:

Afghanistan, Algeria, Angola, Bangladesh, Bhutan, Brunei, Burkina Faso, Burundi, Camerun, Ciad, Comore, Congo-Brazzaville, Congo-Kinshasa, Dominica, Gibuti, Egitto, Eritrea, Eswatini (Swaziland), Etiopia, Gambia, Ghana, Guinea, Guinea-Bissau, Guyana, India (in alcune giurisdizioni), Iraq, Iran, Isole Cook, Isole Salomone, Giamaica, Kenya, Kuwait, Laos, Lesotho, Liberia, Libia, Malawi, Malesia, Mali, Mauritania, Mauritius, Mongolia, Mozambico, Myanmar, Namibia, Nepal, Niger, Nigeria, Oman, Pakistan, Papua Nuova Guinea, Qatar, Saint Lucia, Sierra Leone, Somalia, Sudan, Siria, Tanzania, Togo, Tonga, Tunisia, Turkmenistan, Uganda, Yemen.

In molti di questi contesti, il bersaglio delle leggi è l’espressione pubblica dell’identità, così come qualsiasi associazione, manifestazione o comunicazione che difenda i diritti LGBTQIA+. Una criminalizzazione che agisce anche per silenzio, paura e cancellazione.

Strumenti legali, stigma sociale e repressione quotidiana

Le leggi penali rappresentano solo un aspetto del problema. In molte delle giurisdizioni in cui l’omosessualità è illegale, la vita quotidiana delle persone LGBTQIA+ è segnata da stigmatizzazione, violenza sociale, esclusione dai servizi e persecuzione informale.

In diversi Paesi, le autorità impiegano norme vaghe o arbitrarie per colpire chiunque non rientri nelle aspettative tradizionali di genere e sessualità: basta un sospetto, un atteggiamento non conforme, una denuncia anonima. A ciò si aggiungono le restrizioni alla libertà di espressione, alla possibilità di associazione e alla tutela legale.

Una mappa globale in movimento

Se il Burkina Faso rappresenta un caso emblematico di regresso normativo, in altri contesti si sono registrati segnali di apertura. Il Botswana ha già depenalizzato l’omosessualità in via definitiva, mentre la Namibia si trova in una fase di transizione normativa, con pronunciamenti giudiziari favorevoli ma un quadro legislativo non ancora pienamente aggiornato.

Il quadro globale, quindi, non segue una traiettoria unica. I diritti LGBTQIA+ si muovono su una mappa frammentata, fatta di progressi parziali, battute d’arresto e derive repressive. In ogni caso, la realtà per milioni di persone resta la stessa: vivere la propria identità espone a rischi concreti, legali e sociali, senza garanzie e spesso senza voce.

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