Poppea vs Katrina: perché i fenomeni meteorologici hanno nomi propri?

da | Ago 31, 2023 | ambiente, climate change | 0 commenti

Cicloni, anticicloni, tempeste e nevicate: i fenomeni meteorologici, da qualche anno a questa parte, hanno conquistato nomi propri, precisi e memorabili. Forse proprio perché il caos della natura ha bisogno di un nome e di un cognome, per comprenderlo meglio e avere l’illusione, forse, di poterlo anche controllare.

Mentre gli scienziati discutono le caratteristiche dei fenomeni, le loro controparti più creative si concentrano su qualcosa di altrettanto importante: scegliere un nome che faccia risaltare la personalità di una tempesta. Dopotutto, a chi interessa sentir parlare di anonime perturbazioni provenienti da nord est?

Ma da dove nasce questa consuetudine? Scopriamo insieme da dove nasce questa pratica e perché si sceglie di dare nomi propri ai fenomeni meteorologici.

Da dove nasce la consuetudine di dare nomi propri ai fenomeni meteorologici?

Le dinamiche e la storia del naming meteorologico variano tra USA ed Europa. Mentre in diverse nazioni europee l’usanza di nominare fenomeni atmosferici è recente e comunque sporadica, Oltreoceano è una pratica consolidata da anni. Katrina e Harvey hanno assunto anche nel nostro immaginario un contorno ben preciso.

La consuetudine di dare nomi propri ai fenomeni meteorologici negli USA nasce a ridosso della Seconda Guerra Mondiale, quando i meteorologi militari operanti nel Pacifico iniziarono a catalogare tempeste tropicali e assegnare loro denominazioni. Precedentemente, questi fenomeni venivano riconosciuti con riferimenti poco pratici (le coordinate geografiche di origine, per esempio).

Nel 1953, il National Hurricane Center diede vita quindi a un nuovo sistema di denominazioni. In un primo momento, tempeste e altri fenomeni venivano goliardicamente associati a nomi femminili ispirati a compagne, mogli, suocere e madri, richiamando, secondo ben precisi retaggi culturali, la presunta distruttività e imprevedibilità delle donne.

Questa usanza scatenò poi proteste da parte dei movimenti femministi che portarono a nuove regole di nominazione negli USA: nomi maschili per i fenomeni durante gli anni pari e femminili per quelli dispari.

E nel nostro Paese? Chi dà i nomi propri ai fenomeni meteorologici?

Chi nomina i fenomeni atmosferici in Italia?

Nel 2013, l’EUMETNET (Network of European Meteorological Services), l’organizzazione intergovernativa europea, che lavora per garantire e facilitare la cooperazione tra i servizi meteorologici nazionali d’Europa, ha avviato il progetto Storm naming, che ha lo scopo di nominare le tempeste più intense, come già avviene negli USA.

Proprio a tal fine è stato creato un team permanente, il WGCEF (Working Group for the Cooperation between European Forecasters), con il compito di coinvolgere i vari servizi meteorologici nazionali in Europa.

Dall’uragano mediterraneo Apollo nell’ottobre 2021, il Servizio Meteorologico dell’Aeronautica Militare nomina tempeste e cicloni che colpiscono l’Italia, tramite il Centro Nazionale di Meteorologia e Climatologia Aeronautica a Pratica di Mare.

Il Belpaese, con Slovenia, Croazia, Macedonia del Nord, Montenegro e Malta, appartiene all’area del Mediterraneo centrale. Proprio all’interno di questo gruppo di nazioni, volta per volta, avviene il battesimo della tempesta. Il nome viene scelto in coordinamento con gli altri servizi meteorologici nazionali appartenenti al gruppo.

Perché nominare i fenomeni atmosferici?

Ma che senso ha dare un nome ai fenomeni atmosferici?

Gli esperti di psicologia suggeriscono che l’atto di naming è parte di un meccanismo mentale piuttosto preciso che risponde al nome di antropomorfismo, che tende ad attribuire aspetto e capacità umani a figure immaginarie, animali e cose.

Non è certo cosa nuova. L’essere umano ha a che fare con questo processo mentale dalla notte dei tempi (le religioni partono proprio da questo meccanismo) e si applica anche agli eventi naturali estremi. Questo regala, almeno all’apparenza, il senso di un controllo maggiore sulla realtà circostante.

Il ciclo di vita di un ciclone, dall’origine allo sviluppo, dalla maturità all’invecchiamento e alla conclusione, segue un andamento simile a quello degli esseri umani. Antropomorfizzare questo processo ha effetti positivi e permette di affrontare meglio un evento caratterizzato dall’incertezza.

In Europa (come anche negli USA), lo storm naming sta riscontrando un ampio supporto da parte dei media e del pubblico e coinvolge attivamente le persone nella selezione dei nomi.

Se è in arrivo Poppea e non una perturbazione qualunque, la popolazione si mostra più attenta alle avvertenze meteorologiche e alle raccomandazioni di sicurezza.

Ma non solo. Dopo che l’evento si è verificato, è più facile riferirsi ad esso se ha ricevuto un nome univoco da una fonte autorevole. Il fenomeno diventa in questo modo riconoscibile a livello europeo sia tra i media che nella comunità scientifica internazionale.

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