Rimozione dell’anidride carbonica

da | Apr 19, 2023 | ambiente, inquinamento, tecnologia verde | 0 commenti

I metodi e i problemi di trasparenza

La siccità che ha colpito fortemente l’Italia e buona parte dell’Europa negli ultimi mesi, le inondazioni che nelle ultime settimane hanno funestato la California, lo scioglimento dei ghiacci che si fa sempre più rapido: queste sono solamente alcune delle più esplicite e conosciute conseguenze del cambiamento climatico, le quali complessivamente stanno portando a una situazione allarmante. In gioco c’è il benessere di oggi e di domani, con un progressivo ridursi della qualità della vita, della biodiversità e della stabilità geopolitica.

Stando alle cifre rese pubbliche dalla Casa Bianca, gli Stati Uniti potrebbero arrivare a spendere fino a 128 miliardi di dollari all’anno in risposta a eventi come inondazioni, incendi, uragani e siccità. Ed entro la fine del secolo si potrebbe arrivare fino ai 2 trilioni di dollari all’anno. La priorità è quindi quella di tagliare in modo drastico l’inquinamento, sapendo però che pur a fronte di un azzeramento delle emissioni legate alle attività umane, non si riuscirebbe a fermare il climate change. Anche nel migliore dei casi, insomma, si renderebbe necessario mettere in campo delle azioni su larga scala per la rimozione dell’anidride carbonica in eccesso.

L’anidride carbonica in eccesso

Come è noto, l’anidride carbonica ha un ruolo fondamentale all’interno dell’atmosfera terrestre: è proprio la presenza della CO2 che permette al Pianeta di mantenersi sufficientemente caldo per ospitare delle forme di vita. Il problema è che negli ultimi 200 anni, per via delle attività umane e in particolar modo per l’uso di combustibili fossili, l’anidride carbonica presente nell’atmosfera è aumentata di circa il 50%, portando all’effetto serra, e quindi al surriscaldamento del Pianeta, il quale a sua volta porta allo scioglimento dei ghiacci, all’innalzamento degli oceani, e così via.

Rimozione dell’anidride carbonica: i diversi metodi

Proprio la presenza di CO2 in eccesso sta dunque portando il mondo verso una tragedia climatica. Tagliare completamente le emissioni non sarebbe sufficiente per fermare questo processo distruttivo, per via dell’anidride carbonica in più già presente nell’atmosfera; sapendo che non sarà in ogni modo possibile tagliare del tutto le emissioni in tempi brevi, delle attività di rimozione dell’anidride carbonica risultano senza dubbio indispensabili. Ma come è possibile perseguire questo obiettivo? In realtà esistono diverse piste da seguire per il CDR, ovvero per il Carbon Dioxide Removal.

Il primo e più diretto metodo è costituito dalle tecnologie DAC, Direct Air Capture, ovvero da grandi dispositivi che permettono di “risucchiare” l’anidride carbonica dell’atmosfera per poi andare a stoccarla in appositi magazzini ermetici (come dei vecchi pozzi petroliferi) o per utilizzarla a livello industriale in modo sostenibile.

Un altro modo per rimuovere l’anidride carbonica, in modo più lento e più sul lungo termine, è ovviamente la creazione di nuove foreste, agendo sulle aree che sono state oggetto di deforestazione ai fini agricoli o di allevamento. Accostare le diverse tipologie di CDR all’uso progressivo dell’energia rinnovabile è di fatto l’unica via da seguire per contenere i cambiamenti climatici: ci sono però alcune criticità che non devono essere trascurate.

Carbon dioxide removal: tra il dire e il fare…

La messa in campo di azioni per la rimozione dell’anidride carbonica presenta alcune ombre. Sul fatto che queste attività siano indispensabili non ci sono dubbi; c’è però chi sottolinea il rischio che spostare l’attenzione verso le pratiche CDR possa avere l’effetto collaterale di far venir meno l’impegno e gli investimenti nei confronti delle energie rinnovabili e del taglio delle emissioni inquinanti, nell’illusione che le tecnologie DAC possano essere una soluzione sufficiente di per sé…

Va poi detto che attualmente i dispositivi DAC sono molto costosi e del tutto insufficienti per portare a risultati effettivamente soddisfacenti senza azioni parallele. E ancora, va evidenziato l’utilizzo non del tutto trasparente che molte aziende e industrie stanno facendo del carbon offsetting. Sono infatti tante le grandi imprese che, non essendo ancora assolutamente pronte a tagliare in modo concreto le proprie emissioni, cercano di presentarsi in veste più sostenibile acquistando i cosiddetti “carbon credits”, andando quindi a finanziare dei progetti di Carbon dioxide removal. Ci sono industrie che affermano di essere impegnate nella riforestazione, altre che acquistano crediti attraverso aziende che mettono al loro servizio tecnologie DAC. Facciamo un esempio: una grande azienda che ogni anno emette 100 tonnellate di anidride carbonica può impegnarsi nel “compensare” l’ambiente con una rimozione del 60% dell’anidride carbonica, con azioni che in linea teorica dovrebbero rimuovere 60 tonnellate di CO2. Purtroppo però ad oggi il sistema non è sufficientemente controllato e regolato per avere una piena trasparenza su questi impegni: nel concreto, un’azienda può benissimo impegnarsi pubblicamente per la rimozione dell’anidride carbonica prodotta senza però, nei fatti, rispettare le proprie promesse. E, nel frattempo, quella stessa azienda può continuare a inquinare, senza apportare sforzi reali per ridurre le proprie emissioni.

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