
L’Italia è nel pieno di un’ondata di calore eccezionale: molte località registrano temperature da bollino rosso, talvolta superiori ai 37 °C, con picchi che sfiorano o superano i 40 °C. Per salvaguardare la salute dei lavoratori più esposti, diverse regioni hanno già emanato un’ordinanza sul caldo in cui applicano misure restrittive sul lavoro all’aperto. Una misura d’emergenza che segna, ancora una volta, quanto il cambiamento climatico stia trasformando anche le regole del lavoro e della salute pubblica.
Come funziona l’ordinanza sul caldo e a quali categorie di lavoratori si riferisce
Le ordinanze emesse dalle amministrazioni regionali stabiliscono che, in presenza di temperature elevate, determinate attività lavorative all’esterno debbano essere interrotte per alcune ore. La fascia oraria più spesso coinvolta è quella compresa tra mezzogiorno e le quattro del pomeriggio, il momento in cui l’esposizione diretta al sole e il caldo accumulato durante la mattinata rendono l’ambiente quasi invivibile. La ratio del provvedimento è semplice: evitare che l’attività fisica sotto il sole si trasformi in un rischio concreto di disidratazione, colpo di calore o – nei casi peggiori – arresto cardiocircolatorio.
Non si tratta di un divieto generalizzato. Le ordinanze specificano che a dover sospendere le attività sono i settori dove il lavoro fisico si svolge all’aperto, senza possibilità di ricovero o refrigerio. Le professioni più esposte sono quelle dell’agricoltura, dell’edilizia, della manutenzione stradale e della logistica. Ma ogni regione ha adattato la norma alle specificità del proprio territorio, rendendo il quadro nazionale articolato e in continua evoluzione.
Ordinanza caldo: quali sono le regioni
Sono tredici, al momento, le regioni italiane che hanno attuato questa forma di tutela climatica. Dalla Sardegna alla Liguria, passando per Toscana, Veneto, Lazio, Puglia, Campania, Sicilia, Calabria, Basilicata, Abruzzo, Emilia-Romagna e Lombardia. La maggior parte di queste amministrazioni comunali ha fissato il termine delle ordinanze al 31 agosto, ma due tra le più esposte all’effetto combinato di calore e umidità – Emilia-Romagna e Lombardia – hanno deciso di prolungare la validità del provvedimento fino al 15 settembre.
Al contrario, in altre regioni sta prevalendo – per ora – un approccio più morbido: nessun divieto formale, ma solo una serie di raccomandazioni rivolte ai datori di lavoro, volte a incentivare la flessibilità degli orari, la creazione di zone d’ombra temporanee, le pause frequenti e l’accesso garantito all’acqua potabile.
Attività escluse e sanzioni
Nonostante l’apparente rigidità dei provvedimenti, è previsto un certo grado di flessibilità per casi specifici. Le attività di pubblica utilità, gli interventi urgenti per la sicurezza e le operazioni di protezione civile sono infatti esentati, ma soltanto se vengono messe in atto misure di prevenzione rigorose, come la fornitura di acqua fresca, pause programmate, turni brevi e la presenza di spazi ombreggiati. Il principio guida rimane quello della responsabilità: chi lavora sotto il sole dev’essere protetto, anche nei casi eccezionali.
Chi invece ignora l’attuale ordinanza sul caldo nelle regioni citate poc’anzi, rischia non solo una sanzione amministrativa, ma anche conseguenze penali. L’articolo 650 del Codice Penale punisce infatti la violazione delle ordinanze delle autorità in materia di igiene e sicurezza pubblica. E, nei casi più gravi, potrebbero configurarsi reati legati alla violazione della normativa sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. Non è una questione formale: è in gioco la vita delle persone.
Una nuova normalità?
Con l’adozione delle ordinanze sul caldo, l’Italia inizia a scrivere un nuovo capitolo nel rapporto tra lavoro e clima. Quello che fino a ieri era considerato un imprevisto meteorologico oggi diventa una variabile strutturale, da governare con leggi e strumenti adeguati. Questo tipo di provvedimenti rappresentano solo una misura di emergenza: sono il segno che stiamo imparando a leggere la realtà per quello che è, non per quello che vorremmo che fosse. In un’estate dove il sole può essere letale, proteggere chi lavora è un dovere collettivo, non un gesto di generosità.