Quasi la metà delle specie migratorie del mondo registra un calo del numero di esemplari, mentre più di una specie su cinque è a rischio di estinzione: a segnalarlo è un nuovo rapporto ONU, il primo dedicato agli animali migratori.
Le ragioni del declino tutte riconducibili alle attività umane: oltre alla crisi climatica, anche lo sfruttamento e l’antropizzazione degli habitat.
State of the World’s Migratory Species è stato presentato durante la quattordicesima riunione della Conferenza delle parti della Convenzione sulla conservazione delle specie migratrici degli animali selvatici (CMS COP14), a Samarcanda.
Specie migratorie: minacce e cause del declino
Megattere, uccelli, tartarughe marine, farfalle monarca, squali: miliardi di animali ogni anno attraversano oceani, deserti e pianure per riprodursi e cercare cibo. Ma sempre più specie sono in pericolo a causa della perdita o dell’alterazione dell’habitat e della caccia e della pesca illegali.
Per la prima volta, un report ha raccolto dati sullo stato di conservazione di 1.189 specie animali riconosciute come bisognose di protezione internazionale. L’analisi deriva da valutazioni e dati forniti dall’IUCN (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura) e dall’Indice del Pianeta Vivente, che dal 1970 analizza i numeri delle popolazioni di oltre 5.000 specie.
Oltre alle specie analizzate nel rapporto, ci sono poi 399 specie non presenti nella Convenzione di tutela di Bonn ma ugualmente minacciate o vicine all’estinzione.
«Il 51% delle aree chiave per la biodiversità identificate come importanti per gli animali migratori non hanno uno status protetto e il 58% dei siti monitorati riconosciuti come importanti per le specie elencate nel Cms stanno subendo livelli insostenibili di pressione causata dall’uomo». Come sottolinea il rapporto, infatti, la perdita, il degrado e la frammentazione dell’habitat colpiscono tre specie migratorie su quattro. Sette specie su dieci sono minacciate invece da un eccessivo sfruttamento umano.
Sforzi di conservazione
«Il rapporto ci mostra chiaramente che le attività umane stanno mettendo a rischio il futuro delle specie migratorie, creature che non solo agiscono come indicatori del cambiamento ambientale, ma svolgono un ruolo integrale nel mantenere la funzione e la resilienza dei complessi ecosistemi del nostro Pianeta», dichiara Inger Andersen, direttrice esecutiva del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente.
C’è però ancora speranza. Diversi esempi di conservazione coordinati a livello locale hanno dimostrato che è ancora possibile cambiare le cose.
La collaborazione globale è essenziale: è prioritario proteggere le aree vitali per la riproduzione, l’alimentazione e la sosta delle specie migratorie. Con azioni concrete e consapevoli, è ancora possibile invertire la tendenza e preservare il futuro di queste creature e dei loro ecosistemi.
Nata a Roma nel 1993, si è laureata in Lettere, con specializzazione in Storia Contemporanea. Attenta al mondo che la circonda, crede fortemente nel potere della collettività: ognuno, a modo suo, può essere origine del cambiamento. Amante del cinema e della letteratura, sogna di scrivere la storia del secolo (o almeno di riuscire a pensarla).