Che fine fanno i vestiti che doniamo?

Dietro la solidarietà della donazione di vestiti usati si nasconde un mercato globale che genera scarti e inquinamento. Per aiutare davvero serve consapevolezza: ecco come donare in modo etico e sostenibile.

Che fine fanno i vestiti che doniamo? - immagine di copertina

    Donare i vestiti usati che non ci servono più ci fa sentire bene. È un gesto che sembra racchiudere solidarietà, sostenibilità e senso civico. Ma cosa succede davvero a quella maglietta che non mettiamo da anni e che decidiamo di infilare in un contenitore per la raccolta degli abiti usati? Dove va a finire? E soprattutto, che impatto ha sul Pianeta e sulle persone?

    Per rispondere a queste domande, abbiamo immaginato il viaggio di un sacco di vestiti usati dalla città fino a destinazioni inaspettate. Il percorso è più complesso di quanto sembri e spesso molto meno virtuoso di quanto vorremmo.

    Il mito del “va ai poveri”

    Molti credono che i vestiti donati vengano distribuiti direttamente a chi ne ha bisogno. In parte è vero ma solo per una percentuale minima del totale. In Italia, secondo Humana People to People, solo il 5-10% degli abiti raccolti viene effettivamente donato a persone in difficoltà. Il resto entra in un mercato globale che si muove tra cooperative, imprese private e commercianti internazionali.

    La maggior parte dei vestiti donati viene selezionata e divisa in categorie. Quelli in buono stato vengono venduti nei negozi dell’usato oppure esportati all’estero, in particolare nei Paesi dell’Africa, dell’Asia e dell’Europa dell’Est. Il resto, se non è abbastanza buono per la rivendita, viene riciclato o smaltito.

    Il mercato globale dell’usato

    Una parte consistente degli abiti raccolti in Europa finisce in enormi mercati di abbigliamento di seconda mano nei Paesi in via di sviluppo. Il Kenya, il Ghana, il Pakistan e la Tanzania sono tra le principali destinazioni. Lì gli abiti vengono acquistati all’ingrosso da commercianti locali che poi li rivendono pezzo per pezzo nei mercati informali.

    Il problema è che solo una parte di questi vestiti è realmente rivendibile. Il resto, ovvero tutto ciò che arriva in condizioni inutilizzabili o semplicemente invendibili per gusti o taglie, viene scartato e spesso finisce in discariche abusive o bruciato. Questo fenomeno è particolarmente evidente ad Accra, in Ghana, dove tonnellate di abiti occidentali invenduti si accumulano ogni settimana in una montagna tessile che soffoca l’ambiente.

    Inquinamento e rifiuti: l’altra faccia della donazione

    Il Kantamanto Market di Accra è diventato uno dei simboli della crisi dei rifiuti tessili. Ogni settimana riceve circa 15 milioni di capi d’abbigliamento usati. Di questi, si stima che almeno il 40% non sia rivendibile. Si tratta di indumenti rotti, sporchi o semplicemente inadatti al mercato locale. Il loro destino? Diventare rifiuti, la cui gestione, spesso inadeguata, li rende fonte di inquinamento di fiumi, suoli e mari.

    Il paradosso è evidente: con l’intenzione di donare vestiti usati e aiutare, alimentiamo in questo modo un ciclo tossico di sovrapproduzione e scarto. Inviamo nuovi rifiuti pensando di fare beneficienza e creiamo nuovi problemi in luoghi già fragili dal punto di vista ambientale e sociale.

    I vestiti non sono neutri

    Oltre all’impatto ambientale, c’è una questione culturale e economica. L’importazione massiccia di abiti usati ha danneggiato l’industria tessile locale in molti Paesi africani. Con abiti occidentali venduti a pochi centesimi, è diventato difficile per i produttori locali competere.

    Alcuni Paesi, come il Ruanda e l’Uganda, hanno cercato di limitare l’importazione di abiti usati proprio per difendere l’economia locale, ma hanno incontrato pressioni internazionali che rendono queste restrizioni difficili da applicare.

    Esiste un’alternativa?

    Cosa possiamo fare allora?

    Innanzitutto ridurre il nostro consumo di abbigliamento. Acquistare meno, meglio e più consapevolmente. Quando decidiamo di disfarci di un capo, dovremmo chiederci se è davvero in condizioni tali da poter essere riutilizzato. Se è rotto o inutilizzabile, non dovrebbe entrare nella filiera della donazione ma essere smaltito correttamente o, meglio ancora, riciclato attraverso canali specializzati.

    Infine, possiamo scegliere di donare i vestiti usati a realtà locali che abbiano filiere trasparenti e verificabili, oppure partecipare a circuiti di scambio e riutilizzo comunitari. Il baratto, i mercatini dell’usato e le piattaforme di scambio tra privati possono essere strumenti concreti per ridurre l’impatto ambientale del nostro guardaroba.

    La solidarietà parte dalla consapevolezza

    Donare è un gesto prezioso solo se fatto con consapevolezza. Altrimenti rischia di trasformarsi in uno scarico elegante dei nostri eccessi. I vestiti che non vogliamo più non spariscono nel nulla e non sempre aiutano chi immaginiamo.

    Prima di lasciarli in un cassonetto, vale la pena chiederci: questo gesto sta davvero facendo bene a qualcuno?

    tags: moda

    Ti consigliamo anche

    Link copiato negli appunti