
Guerra a Gaza: dal 7 ottobre 2023, oltre 52.000 palestinesi sono stati uccisi nella Striscia. È una cifra che non ha bisogno di aggettivi, eppure sembra incapace di generare reazioni proporzionate. Al di là della contabilità della morte, ciò che avanza sotto le bombe è una distruzione ambientale metodica, una cancellazione silenziosa ma pervasiva dell’ecosistema di Gaza. Una guerra che devasta, brucia, contamina. E come ogni guerra nel XXI secolo, porta con sé un lascito tossico e duraturo: un ecocidio. Non è un’esagerazione. È una constatazione scientifica. E domani 9 maggio, mentre l’Europa celebra sé stessa nella sua giornata ufficiale, in molte città si manifesterà per ricordare che pace e sostenibilità non sono concetti negoziabili a intermittenza.
Una terra già fragile, ora avvelenata
Gaza non era il paradiso prima del 7 ottobre, ma quel poco che restava è stato trasformato in un inferno ambientale. I 25.000 tonnellate di ordigni sganciati hanno lacerato non solo gli edifici, ma anche la falda acquifera già al collasso. La conferma dell’uso di fosforo bianco da parte dell’esercito israeliano — vietato nei contesti civili da qualsiasi manuale di diritto umanitario che voglia definirsi tale — ha saturato suolo e acque di composti chimici tossici. L’effetto? Fonti idriche inutilizzabili, contaminazioni a catena e la progressiva desertificazione di un territorio che viveva di agricoltura, oggi ridotta al 40% della sua estensione originaria.
Rifiuti tossici, un’eredità per le generazioni future
Quando crolla un edificio, non è solo cemento che finisce a terra. Ogni bombardamento solleva nubi di amianto, metalli pesanti e altre porcherie industriali, che si depositano nei polmoni prima ancora che al suolo. A Gaza, gli edifici crollati sono decine di migliaia, per un totale stimato di quasi 39 milioni di tonnellate di detriti tossici. L’aria è diventata una sostanza solida, opaca, inquinata da particolato cancerogeno e residui di combustione. I bambini che oggi respirano quell’aria avranno polmoni più vecchi di quelli dei nonni. Le ONG stanno distribuendo mascherine, per quello che vale.
L’invisibile che uccide: liquami, acque nere, plastica
Colpire un ospedale è un crimine di guerra. Colpire un impianto di trattamento delle acque, evidentemente, è solo una nota a piè di pagina. Eppure, a giugno 2024, 5 impianti su 6 per il trattamento dei rifiuti solidi risultavano completamente distrutti. Quelli per le acque reflue? Chiusi, danneggiati, o semplicemente scomparsi sotto le macerie. Il risultato è che i liquami scorrono letteralmente a cielo aperto, o peggio: s’infiltrano nelle falde acquifere e finiscono in mare. Il Mediterraneo non è mai stato così sporco, e la costa egiziana comincia a mostrarne i segni. Chiudere gli occhi è difficile quando la puzza arriva fino ad Alessandria.
Una guerra che non si ferma ai confini
I danni ambientali non conoscono checkpoint. L’inquinamento atmosferico provocato dai bombardamenti ha già superato i confini della Striscia, raggiungendo la Giordania e il Sinai. Le correnti marine, del resto, non si interessano di geopolitica: i reflui tossici gettati in mare stanno contaminando le acque condivise, e con esse gli ecosistemi costieri. A essere in pericolo, paradossalmente, non è solo Gaza, ma l’intero Levante. Il concetto di “sicurezza ambientale” — così caro nei convegni europei — qui evapora come una goccia d’acqua nella sabbia. O forse nella cenere.
L’ultimo giorno di Gaza
La mobilitazione internazionale del 9 maggio 2025, intitolata “L’ultimo giorno di Gaza”, è un tentativo di rompere il silenzio. Nelle piazze, da Ponte Sisto a Piazza Trilussa a Roma ma in tutta Italia, e sui social con l’hashtag #gazalastday, attivisti, intellettuali e cittadini manifesteranno per denunciare una tragedia che è al tempo stesso umana, politica e ambientale. È un appello che non chiede solo la fine della guerra a Gaza, ma anche il riconoscimento di un crimine umano ed ecologico sistemico.