
Sull’isola di Jeju, in Corea del Sud, vive una comunità di donne il cui mestiere unisce natura, coraggio e tradizione: sono le Haenyeo, pescatrici in apnea che per secoli hanno sostenuto famiglie e comunità. Questo sapere antico oggi si trova a fronteggiare sfide che vanno oltre il mare: l’invecchiamento, il cambiamento ambientale e l’attrazione verso lavori meno duri stanno spegnendo lentamente questa cultura unica. La loro è una storia di resilienza, fatta di gesti tramandati di madre in figlia e di una quotidianità dura, ma piena di dignità.
Chi sono le donne del mare
Sull’isola di Jeju, le Haenyeo incarnano un modello femminile forte che sfida stereotipi: si immergono senza bombole per raccogliere alghe, molluschi, polpi e altri frutti del mare. Sono in grado di trattenere il respiro per minuti e praticano la pesca per ore al giorno. Dal V secolo, ma in modo marcato a partire dal XVI-XVII, hanno preso in mano le responsabilità economiche mentre molti uomini erano impegnati altrove. Attraverso una cooperazione sociale e un’organizzazione che va oltre il semplice lavoro, hanno gestito il mare con autonomia e dignità. Allo stesso modo, hanno guidato la comunità locale con la stessa determinazione. Ogni donna che affonda lo sguardo nel mare porta con sé una storia di determinazione fatica, rispetto per la natura e profondo legame con la propria identità culturale.
La loro storia

La tradizione delle Haenyeo non è una leggenda: è un sistema vivo che ha resistito intatto fino ad oggi. Nel 2016 è stata riconosciuta dall’UNESCO come Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità, segno che la loro pratica è considerata di valore globale. Nell’arco dei decenni il loro numero ha conosciuto picchi e cali: basti pensare che negli anni Sessanta erano decine di migliaia, mentre oggi ne rimangono poche migliaia, la maggior parte oltre i sessanta anni. Quelle più giovani che scelgono questo cammino lo fanno in condizioni molto diverse da un tempo: con mute, apparecchiature migliori, normative sanitarie e opportunità alternative. Eppure, continuano a essere il filo che unisce passato e presente, patrimonio e trasformazione, sapere locale e identità femminile.
Cosa fanno le Haenyeo ogni giorno
Le Haenyeo si immergono in apnea, senza equipaggiamento respiratorio, affrontando correnti, freddo e profondità oceaniche. Raggiungono anche i 10-20 metri sott’acqua, alcune volte restano per ore in mare per raccogliere ciò che il fondale offre: molluschi, alghe, frutti di mare. Usano maschere, mute termiche nelle stagioni più fredde e attrezzi tradizionali per liberare i raccolti dal fondale o dalle rocce. L’addestramento comincia da giovani: è un processo che insegna a regolare il respiro, a stabilizzare l’equilibrio fisico e mentale e a rispettare l’ambiente marino. La giornata di lavoro può iniziare all’alba, proseguire con immersioni intense, osservazione del meteo marino, cura delle reti e del raccolto. È un mestiere che richiede forza, resistenza, sensibilità, ma anche una profonda attenzione a segnali come il freddo, l’umidità, la stanchezza.
Adattamenti genetici al mestiere
Uno studio recente ha messo in luce che le Haenyeo non sono solo modellate dall’esperienza, ma portano dentro di sé varianti genetiche che aiutano a resistere al freddo e a regolare la pressione sanguigna in situazioni estreme. Confrontando 30 Haenyeo con persone coetanee di Jeju e con individui dalla terraferma coreana, i ricercatori hanno individuato un gene associato alla tolleranza termica e uno che riduce la pressione diastolica, utile durante le immersioni prolungate.
Durante immersioni simulate, il battito cardiaco delle Haenyeo cala in media di 18,8 battiti al minuto rispetto ai 12,6 di chi non si immerge, un segno che il corpo si adatta profondamente a un’attività che richiede intensa apnea. Le donne che si immergono da decenni evidenziano bradicardia marcata e maggiore resistenza all’ipotermia, caratteristiche che sembrano emergere da una combinazione di ereditarietà e intensa vita quotidiana sotto il mare.
I rischi del mestiere

Queste donne, nel corso della giornata, affrontano grandi sfide. Conoscere che cosa rischiano è importante per provare a capire ogni loro sacrifico. Ecco tutti i rischi a cui sono esposte nelle immersioni:
- Esposizione prolungata al freddo che può causare ipotermia, congelamenti locali, danni ai tessuti e conseguenze potenzialmente gravi.
- Elevata pressione dell’acqua in immersione che esercita stress sul sistema respiratorio e cardiovascolare, con rischio di barotrauma o problemi correlati alla decompressione.
- Danno all’udito o acufene, dovuto al rumore del mare, al respiro trattenuto, all’alternanza tra immersione e superficie.
- Incidenti con fauna marina, scarsa visibilità, correnti improvvise, oscillazioni climatiche e condizioni meteo imprevedibili.
- Stress fisico che diventa accentuato con l’avanzare dell’età, rendendo il mestiere arduo anche per chi ha anni di esperienza.
Perché rischiano di scomparire
Solo pochi decenni fa erano decine di migliaia; oggi le Haenyeo attive sono circa tra 2.800 e 5.000, dipende dalla fonte, e la maggior parte ha più di 60 anni. Le giovani generazioni mostrano sempre meno interesse per un lavoro così duro, spesso poco remunerativo e privo di tutele adeguate. Le condizioni dell’oceano mutano: l’acqua più calda, la diminuzione della fauna marina per inquinamento e cambiamenti climatici riducono le possibilità di pesca. La modernizzazione ha portato mute, tute migliori, protezioni, ma ha anche modificato la tradizione, alterandone alcuni aspetti e rendendola più difficilmente sostenibile.
Sopravvivere tra memoria e cambiamento
Le più esperte tra le donne del mare hanno la pelle segnata dal sale, i muscoli temprati da decenni di immersioni, lo sguardo che conosce le maree e la nostalgia. Sono custodi silenziose di storie antiche, di un equilibrio fragilissimo tra uomo, mare e natura. Documentari recenti mostrano che il numero di Haenyeo supera di poco i quattromila, ma tra queste pochissime sono giovani e disposte a continuare. I saperi antichi resistono grazie a chi li vive tutti i giorni, rischiando di diventare un ricordo per chi verrà dopo. Quel che rimane è il valore di un modo di vivere che ha saputo trasformare la fatica in rispetto e l’oceano in casa.
Un lavoro rischioso che sta per finire
Le Haenyeo di Jeju ci lasciano un insegnamento importante: esistono tradizioni che non sono spettacolo, ma forme vive di dialogo con l’ambiente e la comunità. È urgente riconoscere che dietro ogni immersione c’è conoscenza, sacrificio, bellezza fragile, che va sostenuta e protetta. Servono politiche che offrano sostegno sanitario, compensi equi, formazione per le nuove generazioni, consapevolezza del valore culturale che portano con sé. Accogliere la loro storia significa riconoscere la ricchezza di culture che sopravvivono nelle pieghe del mondo, sostenere chi continua a vivere in simbiosi con natura, mare e memoria. Se vogliamo che le Haenyeo non scompaiano, dobbiamo ascoltarle, valorizzarle, affiancarle con rispetto.