
Leopoldo II, re del Belgio, è una figura che la storia europea tende a ricordare con ambiguità, ma in Africa il suo nome evoca orrore e sofferenza. Durante il suo regno, tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, Leopoldo II trasformò l’immensa regione del Congo in una sua proprietà personale, dando vita a uno dei capitoli più oscuri e disumani della colonizzazione africana.
Una storia di avidità, sangue e indifferenza che continua a essere sottovalutata o minimizzata, nonostante le sue implicazioni tragiche.
Il sogno di Leopoldo II
Nato nel 1835, Leopoldo II ascese al trono del Belgio nel 1865, ma la sua ambizione andava ben oltre i confini della piccola Nazione europea. Aveva infatti in mente un obiettivo più grande: un impero coloniale tutto suo. In quel periodo le altre potenze europee come Gran Bretagna, Francia e Portogallo si stavano già spartendo l’Africa e Leopoldo II si trovò quindi senza alcun territorio sotto il suo controllo. Da qui, nacque l’idea di conquistare una regione inesplorata e sfruttarla a proprio vantaggio.
Nel 1885, grazie a una spregiudicata operazione diplomatica, Leopoldo II riuscì a convincere le potenze mondiali riunite alla Conferenza di Berlino a riconoscergli il dominio su una vasta area nel cuore dell’Africa. Lo fece presentandosi come un filantropo illuminato, sostenendo di voler portare “civilizzazione” e “sviluppo” in una terra che considerava selvaggia e primitiva. Nasceva così lo Stato Libero del Congo.
Ma la realtà era ben diversa. Lungi dall’essere uno stato libero, il Congo divenne la prigione di milioni di africani e il terreno di sfruttamento brutale a vantaggio esclusivo di Leopoldo II.
Il saccheggio del Congo
Il sogno di Leopoldo II non era la civilizzazione, ma il profitto. E l’Africa centrale aveva opportunità di guadagno in abbondanza, specialmente grazie alla possibilità di esportare gomma e avorio. Questi materiali erano enormemente richiesti dall’industria europea e Leopoldo II non si fece scrupoli a utilizzare ogni mezzo per massimizzare i guadagni. Organizzò un sistema di sfruttamento umano ed economico senza precedenti, imponendo alle popolazioni locali di raccogliere gomma per conto della sua amministrazione. Chiunque non rispettasse le quote, non mostrasse abbastanza sottomissione, o cercasse di ribellarsi, era punito in modo disumano.
Tagliare le mani era solo uno dei metodi più comuni di punizione, inflitto non solo ai presunti colpevoli, ma spesso anche alle loro famiglie. Villaggi interi venivano distrutti, donne e bambini presi in ostaggio, le mutilazioni e le uccisioni erano all’ordine del giorno. Il Congo di Leopoldo II non era solo una miniera d’oro per il re, era un inferno di sangue e terrore per la popolazione locale.
Nel frattempo l’Europa…
Ma come fu possibile che un singolo re europeo riuscisse a infliggere tanta sofferenza senza che nessuno alzasse un dito? La risposta sta nell’indifferenza dell’Europa, che all’epoca era più preoccupata a spartirsi il continente africano e massimizzare i propri profitti, piuttosto che tutelare le vite degli africani.
Per anni, Leopoldo II riuscì a mantenere segreta la realtà del Congo, anche grazie a un abile gioco diplomatico e alla censura di eventuali dissidenti. In Belgio, molti lo consideravano un grande benefattore, qualcuno che stava portando civiltà a popoli che, agli occhi degli europei, vivevano ancora in condizioni arretrate. Leopoldo II finanziò opere pubbliche, edifici monumentali e progetti infrastrutturali in Belgio con i proventi dello sfruttamento del Congo. Bruxelles, oggi, è ancora costellata di monumenti che glorificano il suo regno, un’amara ironia alla luce di ciò che accadeva dall’altra parte del mondo.
La caduta del re
Il sipario cominciò ad aprirsi nei primi anni del Novecento, quando missionari, esploratori e giornalisti iniziarono a raccontare le atrocità commesse nello Stato Libero del Congo. Tra i più noti c’è E.D. Morel, un attivista britannico che, analizzando i traffici commerciali tra il Belgio e il Congo, scoprì che solo gomma e avorio arrivavano in Europa, mentre nulla di valore era esportato in Africa. La realtà emerse con una brutalità sconvolgente: il Congo non stava progredendo, ma soffocava sotto la mano di ferro di Leopoldo II.
Il grido di protesta internazionale aumentò, e nel 1908 il governo belga fu costretto a prendere in mano la gestione del Congo, sottraendolo al controllo personale di Leopoldo II. Ma il danno era già fatto: si stima che circa dieci milioni di persone siano morte sotto il regime del re belga.
Leopoldo II, consapevole della portata delle atrocità commesse nel Congo sotto il suo dominio, ordinò la distruzione di molti documenti ufficiali relativi alla gestione dello Stato Libero del Congo prima della sua morte. Questo atto deliberato di cancellazione ha reso estremamente difficile una ricostruzione storica completa e accurata dei crimini commessi durante il suo regime, inclusi i sistematici abusi, le mutilazioni, le torture e lo sfruttamento delle risorse naturali e umane. Gran parte delle prove documentarie, che avrebbero potuto far luce in modo dettagliato sugli ordini e le direttive impartite, furono ridotte in cenere, creando un vuoto che ancora oggi ostacola la piena comprensione e responsabilizzazione storica per i milioni di vittime congolesi. Questo tentativo di nascondere la brutalità del suo dominio ha permesso a Leopoldo II di evitare un’adeguata condanna immediata, lasciando per decenni una coltre di silenzio attorno a una delle pagine più oscure del colonialismo europeo.
Secondo gli storici africani le vittime di Leopoldo II non sono state dieci milioni, ma almeno il doppio. Considerando che le vittime dell’olocausto sono circa sei milioni, la storia di Leopoldo II andrebbe inserita nei programmi scolastici europei per permettere ai ragazzi di avere una comprensione più completa del mondo moderno.