Il prato all’inglese è molto amato. Negli USA – in base ai dati della NASA – rappresenta la coltivazione con la maggiore estensione. La passione per i prati rasati, però, è evidente anche nei giardini privati e nei parchi pubblici italiani. Dove assorbe un’enorme quantità di tempo, energie, acqua, attrezzature, carburanti, fertilizzanti, pesticidi, diserbanti, denaro. Lavoro e risorse che potrebbero essere dedicati – con benefici assai maggiori – alla realizzazione di un altro tipo di paesaggio: un micro-ecosistema alimentare biodiverso.
Contro natura
Per molte persone il tappeto erboso rappresenta l’unica forma di contatto con la natura. Ma quanto è naturale questo paesaggio tipicamente culturale?
La sua caratteristica è la presenza esclusiva di erba, appartenente solo ad alcune specie selezionate e mantenuta costantemente ad un’altezza di pochi centimetri. Ottenere ciò significa contrastare con ogni mezzo la tendenza naturale all’aumento della complessità e della biodiversità, che porterebbe – se lasciata indisturbata – verso sistemi in equilibrio, in grado di autoregolarsi. Sistemi che non richiedono irrigazioni, concimazioni, interventi antiparassitari, né tantomeno falciature periodiche. In una parola: ecosistemi.
Creare biodiversità
I biologi parlano di sesta estinzione di massa. Un fenomeno antropogenico – fatto di perdita di habitat, inquinamento e pratiche degenerative – che ancor più del climate change mina le basi della civilizzazione, e quindi il futuro dell’umanità.
Leggendo biodiversità, il pensiero corre alle specie animali e vegetali, ma la varietà e l’abbondanza di vita si manifesta a tre livelli. C’è la variabilità genetica, che caratterizza univocamente ogni individuo. Poi c’è il livello specifico, per la maggior parte invisibile agli occhi – come avviene per i miliardi di microrganismi contenuti in un cucchiaino di suolo fertile – e ancora sconosciuto alla scienza, come nel caso degli insetti nelle foreste equatoriali. Infine, a livello macroscopico, c’è la varietà di ecosistemi.
Creare tanti ecosistemi biodiversi, in sostituzione di quelli monocolturali (come i prati all’inglese) è una pratica rigenerativa per contrastare il collasso della biodiversità in corso.
Quattro metri quadrati per iniziare
Sì, ma è una pratica alla portata di chiunque? Per sperimentarla basta un fazzoletto di terra di due metri per due: un angolo del cortile, del giardino, dell’orto. Persino un pezzetto di un’aiuola spartitraffico o di un’area urbana degradata e inutilizzata, chiedendo al Comune e coordinandosi con altre persone interessate.
Lo scopo è creare un micro-ecosistema non solo ricco di biodiversità, ma anche in grado di produrre cibo, che si rifà in piccolo al modello della food forest. Un minuscolo paesaggio multifunzionale: alimentare, naturalistico, estetico.
Un libro per farsi ispirare
Per sapere come fare concretamente, potete lasciarvi ispirare da Progettare ecosistemi alimentari in permacultura, di Zach Loeks (ed. Terra Nuova, 2022). Vi guiderà passo passo dall’osservazione del sito alla realizzazione di un letto rialzato, dalla creazione di un suolo fertile alla scelta delle piante da consociare, organizzate su più livelli.
La vostra micro-gilda ecosistemica di quattro metri quadri rappresenta l’unità di base che potrà affiancarsi ad altre per costituire letti di coltivazione, riuniti a loro volta in parcelle. Paesaggi alimentari ecosistemici per trasformare a poco a poco le città, educando, propagando e ispirando.
Da oltre quarant’anni – per passione e per professione – si occupa di ambiente, sostenibilità, stili di vita eco-compatibili. Laureata in scienze naturali, permacultrice diplomata con l’Accademia Italiana di Permacultura, co-promotrice di una “Transition Town”, facilitatrice in formazione di comunità sostenibili. Si è parzialmente auto-scollocata dall’impiego come funzionaria tecnica per dedicarsi a ciò che trova più costruttivo e rigenerativo per la società e per Madre Terra.