Riunione anti-abortista SENZA DONNE: nel 2025 è oltre il ridicolo

In Piemonte, una riunione tutta al maschile decide sul futuro della “Stanza dell’Ascolto”, uno spazio antiabortista dichiarato illegittimo dal TAR. L’assenza totale di donne evidenzia una dinamica patriarcale che esclude le dirette interessate dalle decisioni sulla salute riproduttiva.

Riunione anti-abortista SENZA DONNE: nel 2025 è oltre il ridicolo - immagine di copertina

    Nel cuore della civilissima Torino, in un reparto ospedaliero che dovrebbe incarnare la tutela della salute femminile, si è svolta una riunione che pare uscita da una distopia grottesca firmata BoJack Horseman (cit). Una scena che, se non fosse tragicamente reale, potrebbe benissimo appartenere a una parodia della politica italiana: sei uomini seduti attorno a un tavolo a discutere dell’utero delle donne. Nessuna donna, nessuna professionista della salute riproduttiva nessun essere di genere femminile per ricordare che sì, esistono anche le persone con il diritto di decidere se procreare o no.

    La scena si svolge nella Regione Piemonte (la foto è reale, scattata dalla deputata Chiara Gribaudo) dove l’assessore alle Politiche sociali Maurizio Marrone, assieme a un gruppo di colleghi rigorosamente maschi, ha convocato una riunione per riscrivere la convenzione della famigerata Stanza dell’Ascolto all’ospedale Sant’Anna di Torino. Uno spazio precedentemente usato dai movimenti antiabortisti per esercitare un’opera di moral suasion (ossia l’invito a correggere o rivedere determinate scelte o comportamenti) verso le donne in procinto di interrompere la gravidanza, poi dichiarato illegittimo dal TAR. Eppure, come una fenice patriarcale, l’idea risorge dalle ceneri sotto le sembianze di un nuovo tavolo tecnico—senza tecniche, senza ginecologhe, senza donne.

    Una scena surreale, ma anche perfettamente coerente

    Fanpage in questo articolo ha giustamente paragonato la riunione a una clip di BoJack Horseman. Lì, il sarcasmo è arma di sopravvivenza in un mondo fatto di decisioni assurde prese da uomini autoreferenziali. Qui, il sarcasmo è l’unica lente sopportabile per raccontare una realtà dove le politiche sanitarie che incidono direttamente sulla vita delle donne vengono progettate come si stila un piano urbanistico: tra colleghi, davanti a un caffè, e possibilmente senza contraddittorio.

    L’indignazione nasce dalla composizione del tavolo: un’accozzaglia maschile di politici e dirigenti sanitari, tra cui Marrone, Riboldi, Sottile, Schael, Fiandra e Larocca, quest’ultimo presidente del Movimento per la Vita. Nessuna rappresentanza femminile, nessuna psicologa, nessuna esperta di diritto sanitario o di bioetica. Una riunione monotimbrica e monocorde, in cui la salute riproduttiva è trattata alla stregua di una questione logistica, o peggio, ideologica.

    Quando il paternalismo veste il camice bianco

    È fin troppo facile vedere in questa riunione l’emblema di una dinamica patriarcale che non si limita a decidere per le donne, ma pretende anche di farlo in loro assenza. Siamo di fronte a un processo decisionale che ignora volutamente la soggettività femminile, perché più comodo, più ordinato, più “tecnico”. Come se il corpo femminile fosse un oggetto da amministrare e non un soggetto con piena capacità di scelta.

    L’idea di riaprire una stanza destinata a far riflettere le donne sull’aborto è, nei fatti, un tentativo di colpevolizzazione istituzionale mascherato da servizio di supporto. Una forma moderna di inquisizione che, anziché bruciare le streghe, le convince a partorire. Il tutto orchestrato da uomini che si arrogano il diritto di definire cosa è meglio per le donne, senza mai doverne condividere il peso, l’esperienza, il trauma.

    L’illusione del pluralismo, il trionfo del controllo

    Che una Regione italiana voglia riproporre una struttura bocciata dal TAR, e lo faccia senza correggerne l’impostazione discriminatoria, è già di per sé grave. Che lo faccia lasciando fuori le dirette interessate è una farsa democratica. La tanto decantata pluralità delle opinioni si dissolve quando il pluralismo è rappresentato solo da uomini che pensano di sapere cosa voglia dire affrontare una gravidanza indesiderata.

    La realtà è che questa riunione non è solo una gaffe comunicativa. È un atto politico. Un’operazione culturale con cui si tenta di ristabilire una gerarchia: uomini che decidono, donne che ascoltano. E se la chiamano “stanza dell’ascolto”, forse è perché sperano che le donne tornino a fare ciò che la cultura patriarcale pretende da sempre: ascoltare, sorridere e dire di sì.

     

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