Un team di ricercatori italiani ha individuato un nuovo gene alla base dell’Alzheimer. La scoperta, pubblicata recentemente sulla rivista “Alzheimer’s Research & Therapy”, potrebbe rappresentare un passo significativo nella comprensione delle cause genetiche di questa patologia neurodegenerativa ampiamente diffusa a livello globale e aprire la strada a nuovi approcci terapeutici e di prevenzione.
Alzheimer: una panoramica sulla malattia
L’Alzheimer è una malattia neurodegenerativa progressiva che colpisce principalmente le persone anziane. Si manifesta con un deterioramento cognitivo che compromette la memoria, il linguaggio e altre funzioni mentali fondamentali. Le cause esatte non sono ancora completamente note, ma si ritiene che la malattia sia il risultato di una combinazione di fattori genetici, ambientali e legati allo stile di vita. Tra i principali elementi scatenanti vi sono l’accumulo di placche beta-amiloidi e grovigli neurofibrillari nel cervello, che portano alla morte delle cellule nervose.
Tra i sintomi iniziali si riscontra una perdita di memoria a breve termine, difficoltà nel trovare le parole e confusione spaziale. Con il progredire della malattia, i pazienti possono sperimentare disorientamento, difficoltà motorie, cambiamenti di personalità e, nelle fasi avanzate, perdita delle capacità di comunicare e di prendersi cura di sé stessi. Attualmente, non esiste una cura per l’Alzheimer, ma i trattamenti disponibili mirano a rallentarne la progressione e a migliorare la qualità di vita dei pazienti e dei loro familiari.
L’importanza della ricerca genetica nell’Alzheimer
Questa malattia colpisce milioni di persone ogni anno ed è una delle principali cause di demenza a livello globale. La comunità scientifica ha identificato diverse mutazioni genetiche correlate all’Alzheimer, il nuovo gene individuato aggiunge un tassello fondamentale al puzzle. Questo nuovo studio, infatti, si concentra su una variante genetica finora non considerata, che sembra influire significativamente sul rischio di sviluppare la patologia.
Dettagli dello studio
Pubblicata sulla rivista scientifica internazionale “Alzheimer’s Research & Therapy”, la ricerca è stata coordinata da Elisa Rubino, ricercatrice del Centro per la Malattia di Alzheimer e le Demenze Correlate dell’Ospedale Molinette di Torino e dell’Università di Torino.
I risultati emersi non solo aiutano a comprendere meglio i meccanismi biologici della malattia, ma offrono anche nuove opportunità per lo sviluppo di terapie mirate. Per anni, infatti, il team ha analizzato una famiglia italiana affetta da Alzheimer ad esordio senile, identificando mutazioni nel gene Grin2c. Questo gene crea una delle parti necessarie per costruire una proteina complessa, il recettore NMDA, che è essenziale per il funzionamento del cervello. Quando il gene è mutato, può alterare il funzionamento del recettore, causando problemi nella comunicazione tra le cellule cerebrali.
La scoperta è stata resa possibile grazie all’impiego di tecnologie avanzate di genetica molecolare. Fabrizio Gardoni, dell’Università di Milano, ha dimostrato attraverso modelli cellulari che la mutazione aumenta l’eccitabilità neuronale e modifica l’interazione della proteina Grin2c con altre proteine cerebrali.
In merito alla scoperta, Elisa Rubino ha commentato: “Ci aspettiamo che Grin2C sia una causa molto rara di malattia di Alzheimer. Tuttavia, l’aspetto più significativo della ricerca è la conferma del ruolo che i meccanismi di eccitotossicità correlata al glutammato possono avere nello sviluppo della malattia. Quando il glutammato interagisce con il recettore Nmda sui neuroni, si apre un canale che promuove l’ingresso di ioni calcio. Se questa stimolazione è eccessiva, si provoca un’intensa eccitazione del neurone che porta alla morte cellulare. Dal punto di vista clinico, è particolarmente interessante rilevare come, prima dello sviluppo del deficit cognitivo, i pazienti portatori della mutazione abbiano sviluppato per anni un disturbo dell’umore di tipo depressivo. La gestione della malattia di Alzheimer richiede, oggi, un approccio multidisciplinare, basato sulla prevenzione, sulla diagnosi precoce e su trattamenti farmacologici mirati a modulare diversi target terapeutici”.
Il team di ricerca prevede ora di collaborare con centri internazionali per validare ulteriormente i risultati e tradurli in strumenti diagnostici e terapeutici innovativi.

Nata a Roma nel 1993, si è laureata in Lettere, con specializzazione in Storia Contemporanea. Attenta al mondo che la circonda, crede fortemente nel potere della collettività: ognuno, a modo suo, può essere origine del cambiamento. Amante del cinema e della letteratura, sogna di scrivere la storia del secolo (o almeno di riuscire a pensarla).