Che le strategie delle grandi multinazionali non si sposino bene con la tutela ambientale non è una novità. Economia e clima non vanno d’accordo, non lo hanno mai fatto, tanto che si tengono ancora il broncio, anche in questi tempi di presunta transizione ecologica. Nel mondo esistono 200 aziende – il cui insieme è stato ribattezzato CU200 – le quali possiedono, da sole, il 98% delle annuali emissioni nocive: petrolio, gas e carbone.
Una di queste imprese ha recentemente svelato i suoi piani di sviluppo per il futuro. A sentirla, i gruppi ambientalisti sono rimasti inorriditi. Si tratta di Tesla, azienda che produce automobili elettriche e dalla quale ci attenderemmo un’attenzione maggiore per il Pianeta, dal momento che il volto del suo business è eco-friendly.
Che cosa è successo? Per quale motivo c’è stata una simile sollevazione contro l’azienda e i suoi piani? Tutto parte dall’incontro tra l’AD di Tesla, nonché uomo più ricco al mondo, Elon Musk, e Joko Widodo, presidente dell’Indonesia. I due si sono visti lo scorso maggio, quando l’imprenditore ha proposto al politico un imponente piano di investimenti nel suo Paese. L’azienda, infatti, ha interesse a finanziare la redditizia estrazione di nichel in territorio indonesiano.
In risposta a questo meeting, un gruppo di associazioni ambientaliste e impegnate sul fronte dei diritti umani ha preparato una lettera aperta, indirizzata a Musk, per chiedere all’imprenditore di ripensarci. Evitando di finanziare questa industria, Tesla resterebbe fuori dalla profonda devastazione ambientale che le attività estrattive stanno causando nel Paese. Le principali vittime di queste operazioni, naturalmente, sono le comunità indigene più povere e maggiormente dipendenti dilla terra e dal sottosuolo.
«L’industria del nichel in Indonesia ha un record di danni ambientali, minacce di criminalizzazione che abusano della democrazia e dell’equità, rappresaglie contro gruppi vulnerabili e molteplici violazioni della legge.»
Si può leggere nella lettera. I toni allarmisti non sono esagerati. L’industria dell’estrazione del nichel, infatti, è enormemente impattante. È una delle cause della deforestazione di massa, la quale potrebbe veicolare una nuova pandemia, liberando specie animali abituate a vivere nascoste nelle foreste, lontane dall’uomo e dal suo sistema immunitario, impreparato a combattere patologie con cui non ha mai dovuto lottare finché le specie vivevano in habitat separati.
Il nichel è fondamentale per l’automotive. Esso serve ad assemblare le batterie delle automobili elettriche ed è dunque una risorsa strategica fondamentale per i costruttori. Per tal motivo, l’industria estrattiva del materiale è in rapidissima ascesa. Al fine di poter rispondere alla domanda, chi detiene importanti riserve del metallo fa di tutto per estrarne quanto più possibile, spesso in barba alle leggi, come sovente avviene nei Paesi più poveri.
Oltre a giocare questo ruolo di primo piano nella deforestazione, l’estrazione di nichel contribuisce a inquinare i corsi d’acqua e criminalizzare le popolazioni indigene, spesso assoldate come sicurezza dell’impianto per pochi spiccioli. A questi nativi viene – non di rado – chiesto di picchiare, intimorire, e in qualche caso persino uccidere, familiari o compaesani che desiderano soltanto tutelare il loro habitat e protestano con veemenza conto il cieco capitalismo dei capitani d’industria moderni, il quale soprassiede a ogni logica di conservazione planetaria.
Tesla non è nuova a questi accordi tutt’altro che rispettosi dell’ambiente. Nel 2021 ha firmato un contratto con Prony Resources, relativo a una vena di nickel in Nuova Caledonia (Australia). La trattativa prevede che chi estrae riuscirà a vendere al costruttore 44mila tonnellate di nichel entro il 2024. Prima di sottoscrivere questa fornitura, Tesla aveva già raggiunto, nella prima metà del 2021, un accordo per l’estrazione e vendita del litio, altro materiale dal quale si ricavano batterie. Anche quelle dei nostri smartphone sono composte di tale metallo.
Per un produttore di veicoli elettrici è prioritario garantirsi materie prime a sufficienza. Sul fronte dei costi, e per essere certi di poter operare, avere un apporto continuativo di nichel, metalli e terre rare, è fondamentale. Altrimenti si corre il rischio di restare al palo e non poter evadere gli ordini in momenti di scarsità di certi prodotti (come sta avvenendo con i microprocessori). Ciò non significa però che, per riuscirvi, occorra stringere patti con chi danneggia l’ambiente. La miniera di Prony, ad esempio, è attualmente alimentata a carbone.
La compagnia ha promesso che diverrà carbon neutral entro il 2040, sfruttando il solare. Ci sono però ancora molti anni di qui a quel momento, un periodo nel quale la miniera inquinerà instancabilmente. Probabilmente, lo farà come se non ci fosse un domani, dal momento che Antonin Beurrier, CEO di Prony, ha affermato che la quantità di nichel estratta per Tesla potrà variare a seconda delle necessità del costruttore californiano.

Classe 1991, non nasce amante della scrittura. Tutto cambia però quando viene convinto a entrare nella redazione del giornalino d’istituto del liceo: comincia a occuparsi di musica e poi in seguito di sport, attualità, cultura, mondialità e tendenze nel globo, ambiente ed ecologia, globalizzazione digitale. Dall’adolescenza in poi, ha riposto la penna soltanto per sostituirla con una tastiera.