La seconda parte del tratto toscano della Via Francigena è quanto di più emozionante il pellegrino possa aspettarsi sia dal punto di vista storico-culturale sia da quello paesaggistico. La Val d’Arbia e la Val d’Orcia, patrimonio dell’UNESCO, sanno regalare agli occhi di chi cammina dei panorami mozzafiato e altrettanto fanno le città e i borghi che si incontrano lungo la Via – a partire da Siena passando per San Gimignano, Monteriggioni e la splendida Radicofani.
Non sarà tutto rose e fiori: non sono molti i punti di ristoro lungo le tappe, il caldo potrà farvi vacillare ogni tanto e l’ultima tappa, quella che porta proprio a Radicofani, è forse la più dura di tutto il Cammino insieme al tratto appenninico. Ma più i chilometri diminuiscono e Roma si avvicina, più la soddisfazione per un’avventura bellissima aumenta.
Sommario
- La venticinquesima tappa: da San Miniato a Gambassi terme
- La ventiseiesima tappa: da Gambassi Terme a Colle Val d’Elsa
- La ventisettesima tappa: da Colle Val d’Elsa a Siena
- La ventottesima tappa: da Siena a Ponte d’Arbia
- La ventinovesima tappa: da Ponte d’Arbia a San Quirico d’Orcia
- La trentesima tappa, da San Quirico d’Orcia a Radicofani
- Scopri tutte le tappe della Via Francigena
La venticinquesima tappa: da San Miniato a Gambassi terme
I 24 chilometri che dividono i due borghi si snodano in un ambiente collinare di rara bellezza cavalcando sentieri, strade bianche e qualche raro tratto asfaltato.
Uscendo da San Miniato, si cammina lungo la strada approfittando di una bella corsia pedonale protetta da una staccionata di legno che mette in sicurezza il viandante. Ad impreziosire il Cammino c’è anche una cassetta di legno marchiata con i simboli della Via Francigena e una croce rossa, una sorta di medicine crossing dove si possono prendere o lasciare dei farmaci utili per chi cammina.

La cassetta del pronto soccorso fuori da San Miniato
Dopo più o meno quattro chilometri si abbandona l’asfalto e, girando a destra, si imbocca una strada sterrata e ci si immerge nella campagna.
La salita iniziale è solo uno strappetto veloce, ma taglia un po’ le gambe soprattutto se i muscoli non sono ancora caldi a sufficienza. Man a mano che San Miniato si allontana, da entrambi i lati si aprono paesaggi incantevoli sulle colline della Val d’Elsa e sui campi coltivati con i loro giochi geometrici fatti di linee e colori.
A un certo punto si passa accanto a un albero dove un cartello recita “Francigena’s Book”; guardando bene, si nota una pentola rossa capovolta che nasconde un contenitore al cui interno si trova un libro di passaggio dove i pellegrini possono scrivere un loro pensiero o semplicemente lasciare una firma.

Il Francigena’s book
Si continua in un dolce saliscendi per poi infilarsi in un boschetto che, con la sua ombra, dona un po’ di freschezza. Dura poco perché il paesaggio si apre nuovamente e si comincia a camminare su un fantastico crinale dove lo sguardo spazia a 360 gradi nell’ambiente rurale. Campi coltivati, rotoballe di fieno e pochi cipressi sparuti si susseguono a perdita d’occhio ed è così, con gli occhi affamati che si saziano di bellezza che i chilometri, uno dopo l’altro, scorrono senza quasi accorgersene.

Pochi cipressi sparuti
Quando il sentiero comincia a salire, la sagoma di Gambassi Terme è già visibile. Al borgo mancano cinque chilometri e sono tutti in salita, tanto da sembrare il doppio. Quando si arriva sull’asfalto della strada provinciale volterrana ne mancano la metà, ma c’è un bel tabernacolo coperto dai rampicanti e una meravigliosa fontanella, utile per abbeverarsi e rinfrescarsi la testa.
Poco prima di raggiungere il centro del paese si incontra la Pieve di Santa Maria Assunta a Chianni, una splendida piccola chiesa alle cui spalle, nei locali del vecchio convento, sorge l’Ostello Sigerico dove si può finalmente riposare e farsi una bella doccia.

La Pieve di Santa Maria Assunta a Chianni
Svolte queste funzioni primarie, trovate il tempo per visitare il piccolo centro storico di Gambassi e magari fare una sosta al bar “L’oasi del pellegrino”, dove potrete aggiungere un timbro extra alla vostra Credenziale oltre a quello dell’ostello.
La ventiseiesima tappa: da Gambassi Terme a Colle Val d’Elsa

L’alba uscendo da Gambassi
La strada che esce da Gambassi attraverso un bell’arco, scende ripida per quattro chilometri nei quali si trasforma in sterrata, poi improvvisamente presenta il conto e comincia a risalire. Non stiamo parlando di grandi dislivelli, ma comunque ci sono da fare 400 metri in altezza.
A metà dell’ascesa, la sterrata lascia spazio all’asfalto ed entra nel piccolo borgo di Pancole dove si trova il Santuario di Maria Santissima Madre della Divina Provvidenza.
Il nome di questa piccola chiesa ha a che fare con una vecchia edicola sacra raffigurante la Madonna nell’atto di allattare che si trovava da quelle parti e che, caduta in rovina, venne coperta e nascosta dai rovi. La leggenda vuole che una bambina, muta dalla nascita, mentre pascolava il suo gregge e piangeva per la miseria che colpiva la sua famiglia, vide una bella signora che le chiese il motivo della sua disperazione. Improvvisamente capace di parlare, la bambina spiegò i motivi del suo piangere e la dama le disse di tornare a casa subito perché avrebbe trovato pane, olio e vino in abbondanza. La bimba lo fece e tutti, dopo aver gridato al doppio miracolo, si recarono sul posto dell’apparizione e, cercando fra i rovi, trovarono l’edicola sacra.

Il Santuario di Maria Santissima Madre della Divina Provvidenza
Lì ora sorge un santuario che è un luogo di grande quiete ma anche di una forte devozione perché l’immagine della Madonna, rimasta nascosta per lungo tempo è ancora all’interno delle sue mura, perfettamente visibile. Concedersi qui una sosta è un’ottima idea: visitate la chiesa, scendete a vedere il presepe permanente e riposatevi anche un po’. La tappa, con i suoi 24 chilometri, è ancora lunga.
Quando si riparte, in lontananza già si possono intravedere le famose torri di San Gimignano ma prima di arrivarci bisogna passare per un altro luogo del cuore, la Pieve di Cellole.

La Pieve di Cellole
La strada continua a scorrere sotto i piedi per due chilometri in dolci saliscendi poi, all’interno di un boschetto di cipressi, si incontra questa piccola chiesa dedicata a Santa Maria Assunta la cui storia si perde un po’ prima dell’anno Mille. Il silenzio che avvolge la struttura – nonostante la presenza della Provinciale che scorre poche centinaia di metri più giù – ha dell’incredibile e riesce a dare al luogo un profondo senso di misticismo. Dico sempre che le soste vanno distanziate perché siano efficaci, ma qui occorre fare un’eccezione alla regola.
Raggiunta la strada, si prosegue per circa quattro chilometri fino a entrare nel borgo attraverso la Porta di San Matteo.

Panorama di San Gimignano
San Gimignano, la città turrita, è una delle perle della Toscana nonché uno dei borghi più belli al mondo, anche se i negozi per turisti la soffocano e la snaturano un po’.
Chi volesse dividere la tappa qui può trovare accoglienza nel convento di Sant’Agostino dove vale comunque la pena entrare per una breve visita e per aggiungere un timbro sulla Credenziale.
Uscendo da Porta San Giovanni, ci si lascia il borgo alle spalle camminando su strada fino ad arrivare al convento di Monte Oliveto Minore, un antico monastero fondato nel 1340 che merita assolutamente una breve visita.
Poco prima di arrivare al minuscolo borgo di Santa Lucia, si svolta destra e si prende una strada bianca che scende a tornanti attraverso la campagna. Si raggiunge un torrente, che si attraversa facilmente, per poi proseguire in costante saliscendi fino a raggiungere il mulino di Aiano e il suo piccolo specchio d’acqua. Qui Sigerico si fermò a riposare annotando il luogo come punto tappa sul suo quaderno. Anche voi potete concedervi una sosta e mangiare qualcosa.
Siamo ben oltre la metà della tappa ma la parte finale (quella che sale a Colle Val d’Elsa) è la più impegnativa, per cui meglio recuperare forze.
Si riparte in salita, ma l’ambiente in cui ci si muove è bellissimo: vigneti, piccole radure e boschetti ombrosi donano pace e silenzio ammortizzando un po’ la fatica.
Più avanti, sul muro di una villa, i proprietari hanno messo una fontanella per i viandanti: di fianco una piccola targa cita San Francesco d’Assisi che ringrazia il Signore per Sorella Acqua.

Una fontanella per pellegrini lungo la Via
Si prosegue fino alla sommità della salita e da lì si scende per raggiungere la Provinciale che, in poco meno di mezz’ora, porta alla breve salita che conduce alla parte alta di Colle Val d’Elsa, quella più antica e più affascinante.
Il borgo ha origini antichissime che riportano indietro ai tempi degli Etruschi ed è stato un punto nevralgico per il trasporto di merci vista la sua posizione lungo la Via Francigena. Qui si lavora il cristallo, una tradizione antica che rende il paese il maggior centro di produzione di questo prezioso materiale. Prendetevi una pausa dai 23 chilometri appena percorsi, fatevi una doccia e riposatevi ma non tralasciate di concedervi un giro nei vicoli di questo piccolo gioiello.
La ventisettesima tappa: da Colle Val d’Elsa a Siena
Tappa lunga quella di oggi, 35 chilometri ma in uno scenario impareggiabile, però vi consiglio vivamente di muovervi molto presto.
Uscire da Colle Val d’Elsa è un’esperienza unica e impareggiabile. Per farlo, infatti, si cammina nel parco fluviale seguendo il corso dell’Elsa, attraversandolo più volte grazie ai suggestivi guadi con gli occhi che fanno il pieno di bellezza. Ma bisogna prestare attenzione: alcune pietre su cui si poggiano i piedi possono essere bagnate e scivolose.
Quando si abbandona il greto, siamo nel piccolo paese di Gracciano dove si attraversa il ponte di San Marziale e si segue la strada fino in fondo. Qui, dove un tempo sorgeva l’antica Pieve a Elsa, si gira a sinistra e, attraversata la Provinciale, in breve si raggiungono le Caldane, antichi bagni termali con sorgenti di acqua tiepida dalle proprietà terapeutiche presenti in loco fin dai tempi dei Romani.

Campi di girasoli all’alba
Da qui la strada ricomincia a salire fra campi di girasole, ulivi e qualche vigna in direzione Acquaviva fino a raggiungere il bel borgo di Strove.
Si prosegue su strada per duecento metri, poi si gira a destra e si prosegue su una bella sterrata che in poco più di un chilometro conduce in un luogo simbolo dell’accoglienza lungo la Via Francigena: Abbadia a Isola. Sorta nell’anno 1001 in una zona nelle cui vicinanze si trovavano alcune necropoli etrusche, deve il suo nome al fatto che i terreni circostanti erano paludosi e che la chiesa sembrava essere costruita su un’isola.

Il complesso di Abbadia Isola
L’Abbazia dei Santi Salvatore e Cirino è un luogo magico, così come l’ostello costruito nelle sale del vecchio convento. Chi volesse dormire qui, aggiustando a suo piacimento le tappe, potrebbe vivere un’esperienza unica, immersa nella storia medievale.
A Monteriggioni mancano poco più di tre chilometri e le torri della cinta muraria sono già visibili. La sterrata attraversa una campagna bellissima fatta di campi di terra bruna, alberi solitari e dei bellissimi fiori viola dei carciofi.
Varcata la Porta Nord del borgo fortificato, si accede a uno dei luoghi più belli di tutta la Toscana. La cinta muraria, perfettamente conservata, invita il viandante a pagare il biglietto e fare una passeggiata panoramica. Ma tutto dipende dall’ora in cui arrivate: io avevo fatto il mio ingresso alle 8 e tutto sembrava addormentato, non c’era nessuno e il silenzio regnava sovrano il che rendeva l’esperienza ancora più bella.

Panorama di Monteriggioni
La strada per Siena è ancora lunga, per cui gambe in spalla.
Ci si muove su strade bianche lungo la Montagnola senese, circondati da un paesaggio meraviglioso fatto di campi di grano, distese di girasoli e colline boscose da cui spuntano bellissimi luoghi storici, come il Castello della Chiocciola, una delle tante fortezze medievali presenti storicamente nella zona. Trattasi di una residenza privata e quindi non è visitabile – un vero peccato – ma da fuori si può ammirare la sua struttura e la torre principale.

Il castello della Chiocciola
Poco più avanti si incontra Villa, un piccolissimo agglomerato di case storiche dove un signore ha messo su un’area sosta con sedie scolpite nei tronchi, una fontanella, un tavolo con sopra il libro dei pellegrini e il timbro per la Credenziale. Una breve sosta è un atto dovuto.
Poche centinaia di metri e si raggiunge l’ex aeroporto “Alfio Mezzetti”, un enorme prato verde che viene usato ormai solo per le esercitazioni dei paracadutisti. Ce lo si lascia alle spalle quando a Siena mancano ancora 12 chilometri. La strada prosegue in dolce saliscendi aggirando una zona che un tempo era un lago paludoso e che ora è stato bonificato, poi inizia la lunga salita che porta verso Siena.
Si attraversa il bosco dei Renai – una benedizione se la giornata è calda e il sole picchia forte – e infine si raggiunge Porta Camollia, storico punto d’ingresso in città lungo la Via Francigena.

Panorama di Piazza del Campo a Siena
Siena è sempre meravigliosa, le sue strade, le sue chiese e ovviamente il piatto forte, la storica Piazza del Campo, cuore pulsante di questa accogliente città dove vagare senza meta può essere una bellissima esperienza.
Mi sento di darvi due consigli. Fate scorta di acqua perché sarà difficile trovarne (fatta eccezione per l’area sosta di Villa). E quando si fa sera, andate a cenare a “Il Grattacielo”, un’osteria super spartana e con i tavoli in comune: mi ringrazierete.
La ventottesima tappa: da Siena a Ponte d’Arbia

La luce dell’alba illumina una chiesa alla periferia di Siena
Sono quasi 26 i chilometri che dividono Siena da Ponte d’Arbia, ma questa è decisamente una delle tappe più belle dal punto di vista paesaggistico.
Uscire da Siena che dorme ancora è bellissimo. Si attraversa Porta Romana e si gira subito a sinistra proseguendo sulla strada che, dapprima in saliscendi e poi in discesa, si allontana dalla splendida città toscana. Girarsi e osservare il colore dei mattoni delle chiese e delle torri che si accende con i primi raggi del sole è pura magia. Bisognerebbe avere un occhio anche dietro per non perdersi un singolo istante di questo spettacolo.
Il Cammino scende verso il fondovalle dove, girando a destra, abbandona l’asfalto per per unirsi all’Eroica, uno storico percorso ciclabile lungo 209 chilometri che attraversa una fetta ricca della Toscana centrale sfruttando strade bianche e che attira ogni anno migliaia di ciclisti.
Seguendo questa ciclovia si costeggia la Cassia fino ad arrivare al paese di Isola d’Arbia dove finalmente, attraversata la Consolare, ci si infila in una campagna meravigliosa e si comincia a salire per raggiungere la cima delle colline e assaggiare quello che sarà il leitmotiv della tappa odierna.

Distese di girasoli in Val d’Arbia
In poco più di due chilometri si raggiunge uno dei luoghi più interessanti di questo tratto di Francigena: la Grancia di Cuna, un’antica fattoria fortificata che fu costruita nei primi anni del 1300 come centro di raccolta del grano e di tutta la produzione agricola della zona che veniva usata per il mantenimento dell’Ospedale di Santa Maria della Scala di Siena.
Sul poggio che ospita la struttura, una sorta di cubo su base fortificata con due torri a protezione dell’ingresso meridionale, sorgeva un Ospitale per i pellegrini in transito e, contemporaneamente alla struttura, fu costruita anche una chiesa dedicata a San Giacomo Maggiore e a San Cristoforo, storicamente protettori dei viandanti.
Siamo all’incirca a metà della tappa e vale la pena fare una sosta prima di immergersi nuovamente nel paesaggio collinare.

Panorama della Val d’Arbia
La Val d’Arbia è bella, di più, è stupenda e il punto di vista da cui la si osserva è di quelli privilegiati: i crinali si susseguono dolci e armonici e camminare diventa lieve, perché ai lati si aprono dei panorami incredibili. Ci sono alcuni campi coltivati che sembrano disegnati da qualche pittore (Van Gogh probabilmente), le linee delle trebbiature recenti creano geometrie in cui perdersi è meraviglioso, qualche albero solitario qua e là sfida il vuoto dello spazio e poi ci sono tanti, tantissimi girasoli che formano un enorme tappeto giallo tutto intorno.

Salendo verso il crinale
Si continua a camminare seguendo docilmente gli alti e i bassi dei crinali attraversando questa campagna bellissima fatta di argilla e frumento, cipressi e zolle e qualche isolata rotoballa fino ad arrivare al minuscolo borgo di Quinciano, dove c’è un’area sosta con annessa fontanella e si può sostare e riempire la borraccia.

Panorama di Quinciano
Da qui, la Via ridiscende fino al fondo valle e prosegue nuovamente attraverso un’infinita distesa di girasoli. I due chilometri che mancano al borgo di Ponte d’Arbia si coprono velocemente grazie al pieno di bellezza fatto lungo la tappa.
Il paese deve il suo nome al famoso ponte che sopraeleva il torrente Arbia, abile opera d’ingegneria. È veramente piccolo e non c’è molto da vedere, ma in compenso c’è un’osteria che offre la cena a prezzo pellegrino ai possessori di Credenziale ed è un bel modo di mangiare insieme ad altri camminatori incontrati lungo la Via.
La ventinovesima tappa: da Ponte d’Arbia a San Quirico d’Orcia
Insieme a quella precedente e a quella successiva, quella odierna forma un triplete straordinario: onestamente credo che siano le tappe più belle di tutta la Via Francigena. I 26 chilometri da percorrere sono impegnativi, non tanto per i dislivelli che peraltro nella seconda metà si fanno sentire, quanto per la poca ombra a disposizione lungo la Via. Fate scorta d’acqua perché si attraversano solo due centri abitati e il caldo può mettere a dura prova il fisico.
Usciti da Ponte d’Arbia, si percorrono circa trecento metri di Cassia, poi si gira a sinistra e si sale verso il crinale, nuovamente in mezzo ai girasoli e nel silenzio. Si cammina così per circa quattro chilometri su una strada bianca che zigzaga fra case coloniche e cipressi, per poi scendere veloce raggiungendo il borgo di Buonconvento che appartiene al circondario delle crete senesi insieme ad Asciano, Montalcino, Monteroni d’Arbia, Rapolano Terme e Trequanda.

Arrivando a Buonconvento
Visitare il piccolo centro storico può essere un ottimo modo per rallentare un po’ i passi e magari fare una sosta per integrare la colazione in qualche bar e soprattutto riempire la borraccia.
Lasciato Buonconvento, si aggira l’abitato sulla sinistra della ferrovia e poi si cammina lungo la Cassia per poche centinaia di metri fino a raggiungere il bivio per Montalcino, dove si gira a destra. C’è un apposito sentiero che corre in completa sicurezza a fianco della strada; dopo poco, lo si abbandona per immettersi in una strada bianca. Si entra così in una terra magica, quella del Brunello.
Si comincia a salire verso i crinali dove i vigneti con i loro filari che sembrano inseguirsi si perdono a vista d’occhio in un paesaggio da brividi.

I vigneti del Brunello di Montalcino
Dopo poco più di un chilometro si passa davanti alla Cantina Caparzo, uno dei produttori più acclamati di questo nettare. Un cartello invita a un Pilgrim’s Break, la Sosta del Pellegrino che per una cifra modesta offre un calice di Rosso di Montalcino, un panino e una bottiglietta d’acqua.
Si continua a camminare in lieve ma costante salita e lentamente il paesaggio cambia: i vigneti lasciano spazio a campi di fieno e frumento ed è così fino a quando, dopo una breve discesa, si raggiunge l’abitato di Torrenieri.
Antica stazione di posta, per la sua posizione è stata sempre al centro degli interessi dei vari casati che si contendevano queste terre. Nonostante fosse stato edificato un castello a protezione del borgo, questo fu demolito sempre più a ogni incursione, a ogni battaglia e ormai non ne resta più nulla.
C’è invece una piccola stazione dove ormai non transita nessun convoglio ad eccezione del Trenonatura che, usando dapprima vecchie littorine e ora una locomotiva a vapore, compie un anello che si inoltra nel cuore della Val d’Orcia.
Conviene fare qui la sosta per il pranzo in modo da ricaricare la borraccia in previsione degli ultimi sei chilometri della tappa che sono i più impegnativi.
Si sale subito, senza pietà, e si cammina sull’asfalto della vecchia Cassia dove non passa nessuno se non i viandanti e le pochissime macchine di chi ha un podere o una colonica lungo la strada.

Il paesaggio prima di San Quirico d’Orcia
Raggiunta la sommità si scollina e si scende in una piccola valletta assolata. Ma è un’illusione: la salita ricomincia subito e affronta lo strappo finale in cui l’unica ombra disponibile è quella fornita da due cipressi all’ingresso del cimitero.
San Quirico d’Orcia è un vero gioiello ed è rimasta integra nonostante sia stata duramente bombardata nella Seconda Guerra Mondiale.

La Collegiata di San Quirico d’Orcia
La cinta muraria offre scorci meravigliosi, gli Horti Leonini, splendido giardino all’italiana realizzato sul finire del 1500, invitano a un momento di relax dopo la fatica e la Collegiata dei Santi Quirico e Giulitta è pronta a offrire ospitalità al Pellegrino nell’attiguo ostello.
Insomma, prendetevi un po’ di tempo per fare un giro in questo splendido borgo e magari per assaggiare un piatto di pici all’aglione o alle briciole, un primo tradizionale di tutto il senese, magari accompagnandolo con un buon bicchiere di Brunello.
La trentesima tappa, da San Quirico d’Orcia a Radicofani

L’alba appena fuori San Quirico
È una tappa dura l’ultima di questa parte toscana della Via Francigena, lunga e con la salita finale per raggiungere il traguardo che sembra non finire mai, però anche in questo caso il paesaggio sa essere il miglior integratore per le energie. Vi consiglio di partire presto per evitare il gran caldo soprattutto nel finale e ricordatevi di portare una ricca scorta d’acqua.
Se, come me, vi metterete in cammino alle 5 avrete la possibilità di osservare l’alba da una posizione privilegiata, il piccolo paese di Vignoni Alto. Dell’antico castello, passato di mano in mano per secoli, rimangono oggi una porzione del mastio centrale, una porta di accesso e alcuni tratti delle mura dove spicca, integra, una torre d’angolo.

L’alba da Vignoni alto
Ci vuole poco ad arrivare e dopo una breve sosta per assaporare quest’oasi di silenzio, si inizia la discesa che porta a uno dei borghi più belli d’Italia: Bagno Vignoni.
La vasca termale situata nella Piazza delle Sorgenti è semplicemente unica: l’acqua calda esce dalla falda acquifera sotterranea di origine vulcanica senza sosta e regala al luogo un’aria da borgo fiabesco.
Da qui, al tempo del mio passaggio, si camminava lungo la Cassia fino al paesino di Gallina. Ora esiste la via che per strade bianche corre parallela ma distante dalla Consolare e che allunga il tragitto di quasi tre chilometri. A voi la scelta.

La vasca termale a Bagno Vignoni
I panorami che si aprono davanti agli occhi del viandante sono spettacolari: colline, casali e cipressi in duplice filare sembrano quasi dipinti. È un paesaggio incontaminato, nessuna cementificazione, nessuna stortura architettonica, solo armonia, del resto la Val d’Orcia è un sito Patrimonio dell’UNESCO e per questo soggetta a regole ferree che la proteggono conservandone il fascino.

Panorama della Val d’Orcia
Quando si arriva a Gallina c’è la possibilità di integrare la colazione e di riempire la borraccia, poi si prosegue per meno di un chilometro prima di imboccare la strada bianca sulla destra.
Siamo a metà della tappa e da qui inizia la salita che terminerà solo una volta giunti a Radicofani.
La sterrata si trasforma presto in una strada abbandonata: è un tratto di Cassia dismessa con l’asfalto tutto rotto dove non passa nessuna macchina. Si continua a salire lievemente poi, raggiunta la sommità, la strada spiana e corre parallela alla Cassia vera cui si ricongiunge poco dopo. Bisogna proseguire sul lato sinistro della Consolare, per cui prestate attenzione quando attraversate. Poco più avanti c’è un’area di servizio con annesso bar nel caso voleste prendere qualcosa da bere o mangiare.

La torre di Radicofani ancora lontana
Dopo poco più di un chilometro il sentiero che stiamo seguendo si stacca verso sinistra, abbandonando la Cassia per poi scendere sotto un viadotto e attraversare il torrente Formone e le sue acque limpide. Rinfrescare i piedi è una sana pratica che tutti i viandanti conoscono bene e che, quando ne hanno l’occasione, non si lasciano sfuggire: approfittatene anche voi.

Rinfrescandosi i piedi
Da qui in poi la pendenza aumenta e non si scherza più. La torre è lì, si vede distintamente, ma a ogni curva sembra che si sia spostata un po’ più in là in una specie di rimpiattino crudele. Ci vogliono quasi cinque chilometri prima di ricongiungersi con la Provinciale e almeno altri tre per arrivare all’ultimo tratto su sentiero. Prima, però, c’è da affrontare il curvone dei cani. In corrispondenza di un cancello che porta a una casa dove una stalla ospita delle pecore, stazionano quasi sempre quattro o cinque pastori maremmani che non vedono di buon occhio chi cammina. Prestate attenzione soprattutto se siete da soli.
Gli ultimi quattro chilometri di sentiero sbucano proprio a un passo dal cartello stradale di Radicofani.
Da lì al centro del borgo sono poche decine di metri. Gli alberi ricoprono il viale che sale dolcemente verso le case e regalano finalmente un po’ d’ombra, ma è quando si arriva davanti alla chiesa di San Pietro che si può festeggiare e darsi una pacca sulla spalla.
Riposatevi, rinfrescatevi ma trovate il tempo di salire a porgere omaggio a Ghino di Tacco visitando la sua torre. Del resto, in un modo o nell’altro, l’avete conquistata.

La torre di Ghino di Tacco a Radicofani
Ghino fu una specie di Robin Hood nostrano, un brigante giusto che dall’alto del suo castello sorvegliava un’enorme parte di territorio ma se volete saperne di più della sua interessantissima storia, cercatelo sul web.
A Roma mancano 171,7 chilometri
Scopri tutte le tappe della Via Francigena
Continua il viaggio e scopri tutte le tappe:
- La Via Francigena: le tappe in Piemonte
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- La Via Francigena: le tappe in Toscana (e un pizzico di Liguria)
Tutte le foto che vedi in questo articolo sono di Andrea Vismara: se vuoi utilizzarle, ricordati di menzionarlo e taggare managaia.eco. Grazie!
