Viaggio in una baraccopoli

da | Mar 13, 2024 | ambiente, politica | 0 commenti

Siamo abituati a riferirci a questi luoghi con il termine di baraccopoli, ma ciò descrive solamente l’aspetto esteriore di questi quartieri, caratterizzati a prima vista da degrado e criminalità. Ciò che si trova invece dentro a una baraccopoli è molto più complesso da descrivere: recentemente ho avuto l’occasione di visitarne una e voglio condividere con voi alcune informazioni di cui ero completamente ignaro sino a poco tempo fa.

Le baraccopoli esistono un po’ il tutto il mondo, soprattutto nelle zone povere, e prendono nomi diversi a seconda dell’area in cui si sviluppano: dalle favelas del Sud America alle township dell’Africa Sud Sahariana, questi luoghi hanno caratteristiche simili, ma storie molto diverse.

In questo articolo vi porto con me dentro una delle più grandi township del Sudafrica, nei pressi di Città del Capo, Khayelitsha, dove vivono ben tre milioni di persone, in pratica la popolazione di Roma.

Che cos’è una baraccopoli

Una baraccopoli è un complesso abitativo caratterizzato da case di fortuna, costruite nella maggior parte dei casi con lamiere tenute insieme da chiodi o schiume incollanti, a cui ci riferiamo con il termine (forse un po’ volgare) di baracche, da cui il nome baraccopoli.

Le lamiere che formano le pareti e i tetti di queste case vengono utilizzate perché rappresentano il materiale più economico in commercio, per questo motivo, seppur le storie delle baraccopoli in tutto il mondo siano completamente diverse, il loro aspetto appare molto simile dal Sud America all’India, dall’Africa all’Est Europa.

Chi vive nelle baraccopoli

Ho avuto l’opportunità di visitare una delle più grandi township del Sudafrica, Khayelitsha, in cui vivono tre milioni di abitanti, e sono rimasto estremamente stupito dalla varietà di persone che ho incontrato, soprattutto dal punto di vista delle professioni svolte.

Mi aspettavo infatti che in una baraccopoli vivessero banalmente i poveri, ossia le persone rimaste senza lavoro o con importanti difficoltà economiche, che non avendo altre scelte si ritrovano a dover vivere in questi luoghi.

Non mi aspettavo di certo di conoscere ragazzi che fanno il mio stesso lavoro!

Sono stato ospitato nella casetta di una coppia di ragazzi: lei è una social media manager di 23 anni che ha appena cominciato la sua esperienza lavorativa, lui fa invece lavoretti saltuari nell’attesa di raccogliere i 28.000 rand (1.400€) per iscriversi all’università.

La cosa mi ha incuriosito, dando vita a una discussione che ha completamente cambiato la mia prospettiva: in una township, così come nelle baraccopoli in generale, vivono operai, insegnati, infermieri, studenti, ingegneri, marketers, cuochi, baristi, etc. Nella maggior parte dei casi però, gli stipendi che derivano da queste professioni non sono sufficienti a condurre uno stile di vita differente. Le case all’interno di una township possono essere costruite o affittate, dipende dalle varie situazioni, e un affitto medio va da 30€ ai 100€, mentre per abitare in periferia o in centro città i costi vanno da 300€ a salire, cifra che gli abitanti di una township non possono spendere.

Nel caso del Sudafrica, probabilmente il Paese al mondo più significativo sulla tematica del razzismo, questa situazione rappresenta un’enorme differenza sociale, in cui, senza girarci attorno, i neri hanno opportunità e salari diversi rispetto ai bianchi (anche a parità di istruzione e di professione).

Perché si formano le township

Le baraccopoli si formano per rispondere a un’esigenza, ossia quella di avere un tetto sopra la testa, ma decontestualizzare le formazioni di questi quartieri dal punto di vista storico è una sorta di crimine intellettuale.

Rimanendo in Sudafrica, non si può parlare di township senza parlare di colonialismo. Sino a qualche decina di anni fa il Sudafrica era caratterizzato da un forte controllo dei bianchi sui neri, con enormi e brutali limitazioni. Una pratica abbastanza diffusa era quella di sfollare le persone che vivevano in grandi quartieri residenziali perché i terreni su cui sorgevano erano in prossimità di quartieri bianchi, che non volevano avere vicini neri, o perché questi quartieri avevano un grande potenziale economico (una volta liberati…). E così da un giorno all’altro un numero enorme di persone veniva mandato in altre zone della città, senza necessariamente che queste fossero pronte ad accoglierle.

Come nel caso di Khayelitsha, un agglomerato urbano in cui dovrebbero vivere circa 500.000 persone e che invece ne ospita tre milioni.

È chiaro che in un contesto di questo tipo criminalità e degrado trovano terreno fertile, ma ridurre una vera e propria città a questo è troppo riduttivo.

Quanta gente vive nelle township

Khayelitsha è a sua volta divisa in 22 quartieri, per cui quando si cercano informazioni sulle baraccopoli si trovano numeri contrastanti. La verità è che milioni di persone vivono in questi luoghi, un blocco può essere formato da 100 o 200 mila persone, ma sommando i vari quartieri si arriva a numeri impressionanti.

Ma non bisogna pensare che una baraccopoli sia una sorta di grande dormitorio, si tratta infatti di una vera e propria città, talvolta con le proprie regolamentazioni.

Al loro interno troviamo caffetterie, negozi che riparano telefoni, auto ed elettrodomestici, mercati di vario tipo e street food di ogni genere, birrerie e addirittura discoteche. Chiaramente sviluppare tutto questo in un contesto di questo tipo non è semplice, ma dentro una baraccopoli c’è un vero e proprio ecosistema.

Perché visitare una baraccopoli

Perché conoscere questo ecosistema e chi lo compone è importante, per moltissimi motivi.

Il motivo principale è comprendere il reale significato di opportunità e disparità: è un dato di fatto che nel mondo esista una disparità e che le opportunità siano diverse da individuo a individuo. Bisogna quindi riflettere sui motivi di questa disparità e decidere personalmente se lo si ritiene accettabile o meno, comportandosi di conseguenza.

Un altro motivo importante per visitare una baraccopoli è perché è gratificante conoscere la consapevolezza delle persone che le abitano, che hanno ben chiara la propria posizione ma senza mai lamentarsene, e toccare con mano la loro propositività, alla continua ricerca di costruire qualcosa di buono, come una sala da ballo in cui far passare il tempo ai bambini, o un orto comune, o ancora un progetto artistico per i più creativi.

Infine è utile vistare una baraccopoli perché è bello confrontarsi, facendo domande dirette e accettando risposte dirette. Nella mia esperienza a Khayelitsha sono stato invitato a chiedere ciò che volevo, senza timore di offendere o di toccare argomenti spinosi, e sono felice di averlo fatto.

Ho chiesto ad esempio a una ragazza di 25 anni se c’è una percentuale significativa di neri che provano odio nei confronti dei bianchi per ciò che è successo negli ultimi anni (riferendomi in particolare all’apartheid) e la risposta è stata: “Sì, ma io li chiamo persone ignoranti”. Esattamente la stessa cosa che penso io quando sento qualcuno usare qualche appellativo o qualche modo di dire razzista, in maniera più o meno diretta e consapevole.

Consiglio quindi a tutti, se ne avrete la possibilità durante un viaggio, di visitare una baraccopoli. Esistono diversi tour e guide disposti ad accompagnarvi e a raccontarvi le storie più disparate, unendovi a uno di questi aiuterete anche le economie locali e vi verrà data un’occasione di crescita personale che non ha prezzo.

Se cercherete notizie sulle baraccopoli sono sicuro che troverete informazioni su omicidi, droga, criminalità e chi più ne ha più ne metta. Nella maggior parte dei casi sono episodi legati a questioni interne, come le lotte tra gang, a cui vi sarà praticamente impossibile avvicinarvi e che a loro volta non hanno particolari interessi ad avvicinarvi. Come già detto, povero non significa stupido, per cui anche i criminali sanno che chi visita le baraccopoli non lo fa con un rolex al polso.

Provare per credere!

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