Chi ha paura del robot cattivo? L’assurda storia degli aspirapolvere hackerati per spiare e insultare i loro proprietari

da | Gen 21, 2025 | ambiente, tecnologia verde | 0 commenti

Immaginate di essere a casa, tranquilli, e di sentire insulti e offese arrivare dal vostro robot aspirapolvere. Sì, avete letto bene. Alcuni dispositivi, progettati per pulire i pavimenti, sono diventati protagonisti di un incubo tecnologico: hackerati per spiare i proprietari, inseguire animali domestici e persino lanciare insulti razzisti.

Sembra di essere in una puntata di Black Mirror, ma è un fatto realmente accaduto ad alcuni cittadini americani e che ci costringe a riflettere sui rischi della domotica.

Che cosa è successo?

Uno degli episodi più inquietanti ha coinvolto Daniel Swenson, un avvocato del Minnesota. Swenson ha inizialmente notato strani rumori provenire dal suo robot aspirapolvere Ecovacs Deebot X2, per poi accorgersi, poco dopo che un hacker stava accedendo al feed video della telecamera integrata del dispositivo tramite l’app di controllo. Il tentativo di proteggere il sistema cambiando la password non è servito a nulla. La situazione è degenerata quando il robot ha iniziato a lanciare insulti razzisti diretti alla famiglia.

Lo stesso giorno, a Los Angeles, anche un altro Deebot X2 è stato compromesso e ha cominciato a lanciare offese e inseguire il cane di una famiglia. Pochi giorni dopo, a El Paso, un altro dispositivo ha iniziato a insultare pesantemente il suo proprietario.

Perché questi robot sono stati hackerati?

Il problema nasce da falle nella sicurezza informatica di alcuni modelli di robot aspirapolvere, in particolare, come abbiamo visto, gli Ecovacs Deebot X2. Questi dispositivi, dotati di videocamere e connessioni Wi-Fi per migliorare la pulizia domestica, sono risultati vulnerabili a intrusioni esterne. Gli hacker hanno sfruttato queste debolezze per accedere ai sistemi interni dei robot, utilizzandoli non solo per spiare gli utenti attraverso il feed video, ma anche per lanciare insulti tramite gli altoparlanti integrati.

Le criticità emerse derivano principalmente da protocolli di sicurezza obsoleti e dalla mancata crittografia delle comunicazioni tra il dispositivo e i server. In alcuni casi, le credenziali di accesso predefinite non venivano modificate dagli utenti, facilitando l’accesso agli hacker. Questo tipo di attacco è noto come IoT hacking, un fenomeno in crescita che mette in pericolo milioni di dispositivi connessi in tutto il mondo.

L’episodio solleva interrogativi importanti: perché i produttori non implementano standard di sicurezza più rigorosi? E perché gli utenti non sono adeguatamente informati sui rischi legati ai dispositivi connessi? Questi robot aspirapolvere, pensati per semplificare la vita, si stanno rivelando un’arma a doppio taglio.

Quali sono le implicazioni di questa vicenda?

Le conseguenze di questi episodi vanno oltre la semplice intrusione nella privacy. Gli utenti si trovano in una posizione vulnerabile, esposti a rischi non solo di furto di dati personali, ma anche di manipolazione emotiva. Pensate al trauma psicologico di essere vittime di insulti o molestie da un dispositivo che avete acquistato per migliorare la vostra vita quotidiana.

C’è poi la questione economica: episodi di questo tipo possono minare la fiducia dei consumatori nei confronti dell’intero settore della domotica. Una riduzione delle vendite di dispositivi connessi potrebbe rallentare l’innovazione tecnologica, ma anche penalizzare le aziende più attente alla sicurezza.

E poi, c’è il problema della regolamentazione. La maggior parte dei dispositivi IoT viene lanciata sul mercato senza verifiche adeguate in termini di sicurezza. Organismi internazionali e governi dovrebbero intervenire per stabilire standard minimi, rendendo obbligatori aggiornamenti regolari e crittografia avanzata. Fino ad allora, il rischio è che la domotica rimanga una terra di nessuno per hacker e cybercriminali.

Chi protegge i consumatori? Il ruolo delle aziende e delle leggi nella sicurezza IoT

La vicenda dei robot aspirapolvere hackerati pone una domanda cruciale: chi dovrebbe proteggere i consumatori? Da un lato, i produttori hanno il dovere di garantire dispositivi sicuri, dall’altro le autorità devono intervenire per regolamentare un mercato sempre più vulnerabile.

Le aziende tecnologiche dovrebbero investire maggiormente nella sicurezza dei loro dispositivi. Questo significa adottare crittografia avanzata, implementare aggiornamenti software regolari e fornire agli utenti istruzioni chiare per proteggersi da eventuali attacchi. Tuttavia, molte aziende privilegiano i profitti immediati rispetto alla sicurezza a lungo termine, lasciando i consumatori esposti a rischi inutili.

E poi, dicevamo, la regolamentazione, che per i dispositivi IoT è frammentata e spesso insufficiente. In Europa, il GDPR offre alcune protezioni per i dati personali, ma non si applica direttamente alla sicurezza hardware. Negli Stati Uniti, la mancanza di leggi federali uniformi lascia la responsabilità ai singoli Stati. Questo vuoto normativo consente alle aziende di lanciare prodotti sul mercato senza standard minimi di sicurezza.

Il consumatore, intanto, può cambiare le password predefinite, aggiornare regolarmente il firmware e scegliere dispositivi di aziende con una buona reputazione in termini di sicurezza. Anche se, senza un supporto adeguato da parte di governi e produttori, queste misure possono rivelarsi insufficienti.

Attenzione a quel robot

Se i robot aspirapolvere iniziano a insultarci, forse è il momento di riconsiderare il nostro rapporto con la tecnologia. Nel frattempo, ricordate: aggiornate le password, crittografate i dati e magari, per precauzione, spegnete il vostro aspirapolvere prima di andare a dormire.

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