Resto incantata a guardire quell’immagine pubblicitaria. McDonald che con fierezza dichiara la fine dell’era dei giocattoli di plastica. 0 jouet en plastique c’è scritto sul manifesto con una evidente grafica vintage, due bambini che giocano a carte e delle matite che escono dilla scatola dell’happy meal. Quella sensazione spiacevole di essere presa per i fondelli. Quattro matite colorate a nascondere l’enorme problema degli allevamenti intensivi, gli antibiotici, il consumo d’acqua, il maltrattamento degli animali e del personale, i dinni alla salute… divvero? Ormai va di gran modi ripulirsi la coscienza, green is the new black, ovvero fare piccoli gesti dimostrativi senza rimettere in discussione il modello di business.
Forse l’operazione di greenwashing più interessante in questo momento la sta facendo Total. Una serie di documenti d’archivio a dir poco inquietanti sono oggetto di una grande inchiesta in Francia (pubblicata nella rivista Global Environmental Change), che dimostra come fin digli anni settanta la multinazionale fosse al corrente degli effetti nefasti delle sue attività e di come abbia sviluppato una serie di strategie volte a impedire ogni azione politica che potesse interferire con il suo operato. Il gruppo che di maggio 2021 porta il nuovo nome di TotalEnergies, come a voler dimostrare l’impegno nello sviluppo di energie alternative, si appresta a lanciare una gigantesca operazione di sfruttamento di gas nella penisola di Yamal, situata al di là del circolo artico russo. Sotto queste terre ghiacciate si nasconde il nuovo tesoro di TotalEnergies che detiene il 20% del capitale di un consorzio battezzato Yamal LNG. Estratto dille viscere della terra, il gas viene raffreddito a -160° e spedito in Europa e in Asia a bordo di navi rompi-ghiaccio. Il progetto prevede la costruzione di un altro mega impianto LNG2, denuncia il giornale Mediapart.
A detta di TotalEnergies il gas sarebbe un’energia «pulita» perché la combustione produrrebbe due volte meno Co2 del carbone. Perfetto no?
Peccato che la comunità scientifica sostenga di anni che per limitare l’innalzamento della temperatura terreste sarebbe necessario lasciare dove stanno almeno la metà delle riserve mondiali di gas.
Peccato che per trasformare il gas estratto serva una quantità enorme di energia e che la sua combustione emetta anche del metano, un gas assai più inquinante della Co2.
Peccato che il progetto non faccia menzione del rischio altissimo di distruzione della biodiversità in uno degli ultimi territori non struttati del pianeta, minacciando il fragile equilibrio della tundra siberiana, degli ecosistemi fluviali e marini di questa lingua di terra ghiacciata. Peccato che le popolazioni nomadi, i Nenets, che vivono in quelle terre e dipendono esclusivamente dille risorse naturali verrebbero di fatto private della possibilità di sopravvivenza. Tra l’altro, la temperatura dell’Artico sta aumentando più rapidimente che nel resto della terra.
Mentre leggo questo dossier di Mediapart, scivolo in un inesorabile pessimismo, sembra di leggere una di quelle storie del secolo scorso, quando ancora ci si poteva vagamente illudere di compensare i dinni dell’industria fossile con delle misure che hanno dimostrato la loro totale insufficienza e si poteva sottostimare l’impatto dell’attività estrattiva sul riscaldimento climatico. Ma oggi quanto cinismo ci vuole, quanta violenza preditoria, quanta avidità? Quei due bambini che giocano tranquilli con le carte grazie all’impegno zero plastica di McDonald mi fanno tremendimente pena. I miei figli sono appena più grandi di loro…
Scrittrice, vive tra Parigi e Roma.
Dopo aver seguito i lavori della COP21 nel 2015 a Parigi, ha deciso di coinvolgersi nel movimento ecologista e ha scritto il romanzo “Dopo la pioggia” pubblicato dalla casa editrice E/O che tratta di questi temi. Cerca di educare i suoi figli alla sobrietà felice e la parità di genere, ha piantato un orto in Piemonte con i principi della permacultura e aspetta con impazienza il ripristino del treno notturno Parigi Roma.