Junk food vegano? Sì grazie! Tenetevi avocado e quinoa

da | Feb 20, 2024 | alimentazione, vivere green | 0 commenti

Campagne e advertisement per il Veganuary (l’iniziativa globale che sfida i partecipanti a mangiare vegano per il mese di gennaio) lo dimostrano: alla dieta vegana è spesso associata l’idea di un’alimentazione più leggera, che faccia bene anzitutto al corpo di chi la sceglie – e, forse, che sia anche argine o detox rispetto al periodo delle festività trascorse.

È davvero così? Effettivamente un’alimentazione plant based può, di primo acchito, apparire nelle vesti sane e fresche di una bowl di quinoa, di una colazione a base di semi di chia e mandorle tritate, di uno smoothie dalla complicata combo sedano-carota-melograno. Ricordiamo però anzitutto che se la scelta vegana ruota attorno a un corpo, è il corpo animale.

Vegan, innanzitutto, ha a che fare con gli animali

I benefici per la salute di una dieta vegetale bilanciata e correttamente integrata sono riportati in numerosi studi. Non ultimo, vengono raccontati nel documentario targato Netflix Sei ciò che mangi: Gemelli a confronto, in cui due fratelli si sottopongono a un differente regime alimentare per confrontarne i risultati in termini di benessere fisico. Ma vegan, ricorda anche la Vegan Society, è una scelta che ha a che fare con gli animali: è la scelta di chi s’impegna a non causarvi sofferenze, o a diminuirne lo sfruttamento (per quanto, e per come, possibile).

Qualcosa che chi s’avvicina dal di fuori, forse, fa più fatica a comprendere: le scelte vegetali nei menu (se non forse in grandi Capitali europee come Londra, Berlino e Barcellona) sono tendenzialmente associate alla grammatica del fit e dell’healty. Quasi mai a quella del junk food, proprio per il legame di cui si è detto.

Rivendichiamo il vegan junk food

Eppure, ci chiediamo, perché? Mi preoccupo dello sfruttamento animale, il mio corpo e la mia salute – che tra l’altro è ben lungi dal venir influenzata da un singolo pasto – sono un altro affare e un’altra questione ancora. E quando esco a mangiare fuori vorrei quindi poter mangiare il mio burger con patatine – e non un’insalata, per quanto elaborato possa essere il suo dressing. Voglio sedermi coi miei amici a condividere una pizza, che non sia la marinara. Voglio un gelato o una crêpe, o ancora un brownie al cioccolato. Dopotutto, perché no?

E al supermercato, ancora, non disdegno le alternative alla carne: sono nata e cresciuta in una società carnista, e piatti di carne e pesce, o piatti con derivati come latte e uova, sono legati a ricordi specifici; sono la mia domenica dalla nonna, la mia gita al mare e così via.

E quindi ancora, cosa c’è di male se cerco un sapore loro surrogato, che non comporti però alcuna violenza nel suo ciclo produttivo? Spesso si critica chi, all’interno di una scelta vegana, utilizza sostituti della carne – ma non amavi gli animali? È un po’ una domanda che ritorna a chi si espone in questo senso. Eppure non riesco davvero a vedere il problema nel replicare un sapore che sono stata abituata a conoscere e apprezzare, se posso farlo senza disturbare, per così dire, le altre creature.

E se i surrogati sono altamente processati, come spesso accade (guardo la lista degli ingredienti lunghissima, che mi racconta come questa specifica proteina del pisello sia stata trasformata in qualcosa che assomiglia in tutto e per tutto a un affettato), mi chiedo ancora – e quindi? Se mi sono mai impegnata in un regime alimentare differente, ancora, l’ho fatto per gli animali. Non per i miei reni, non per il mio fegato, non per il mio giro vita.

Una scelta personale

Non di quinoa e avocado vive il vegano, quindi. O non solo. È come sempre una scelta personale e irriducibile a una sola tendenza: ci sono effettivamente vegani che hanno a cuore la propria salute, e seguiranno uno stile maggiormente sano. Ci sono i vegani attenti all’ambiente a 360 gradi, che quindi cercheranno alimenti per quanto possibile a km0 (ancora una volta, niente avocado). E ci sono i vegani da junk food, che prendono le proprie proteine da dove le prende anche l’onnivoro: da una bistecca (stampata in 3d), da un hamburger (fatto con proteine di soia), da un barattolo di gelato con cuore di caramello e frutta secca. Da una carbonara, fatta con cubetti di seitan affumicato. Stesso risultato, pressappoco, e nessuna sofferenza causata.

Una maggiore attenzione del mercato a questa fetta di consumatori e a questo genere di richieste, tra l’altro, aiuterebbe non poco a normalizzare la dieta vegana, che invece vive tutt’ora un più o meno forte stigma! E consentirebbe forse una più ampia fetta di popolazione ad avvicinarvisi – non è poi un salto così grande (né un salto di specie!), se non devo rinunciare a quel cibo che per me era comfort food.

Ecco perché potete tenervi, per quanto mi riguarda, la bowl di quinoa e la tartare di avocado. Buonissime, per carità, ma non fanno davvero per me.

Una maggiore offerta di surrogati (dagli affettati, come si diceva, alle merendine che tanto mi ricordano l’infanzia) può non far bene al corpo (è tutto da vedere, tra l’altro), alle mie finanze (su questo son più certa), ma può far bene agli animali e all’ambiente tutto. Al netto dei processi di lavorazione del cibo, l’attuale impatto degli allevamenti industriali è infatti ineguagliabile. Un motivo in più, per favore, per il vegan junk food.

Tag: vegan

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