La Via Francigena: le tappe in Toscana (e un pizzico di Liguria)

Scopriamo le tappe della Via Francigena in Toscana, sfiorando appena la Liguria: da Pontremoli a San Miniato, il racconto di Andrea Vismara.

La parte toscana della Via Francigena, che sconfina brevemente in territorio ligure, è sicuramente la più affascinante come ambiente e la più ricca di città d’arte e borghi meravigliosi. Lucca, Siena, San Miniato, San Gimignano, la val d’Arbia e la Val d’Orcia, Radicofani. Queste sono solo alcune delle perle che si incontrano camminando e che rendono il cammino prezioso per gli occhi e per lo spirito. Sono tanti i chilometri da percorrere ma ci si muove prevalentemente in ambienti collinari e i dislivelli sono sempre abbastanza contenuti.

In questo articolo vi racconto della prima metà di questo tratto tanto lungo quanto meraviglioso.

La diciannovesima tappa: da Pontremoli ad Aulla

Tappa lunga quella che da Pontremoli ci porta ad Aulla: 32 chilometri impegnativi con un paio di strappetti niente male.

Lasciare Pontremoli è sempre un po’ doloroso, una cosa che va al di là dalla bellezza del luogo perché ha più a che fare con l’emotività e l’energia di uno storico luogo di transito. Usciti dal borgo si comincia a camminare lungo la statale fino ad arrivare alla frazione di Santa Giustina e al bivio per Scorcetoli-Monteluscio. Si svolta a sinistra, continuando a camminare su piccole strade a bassissima frequentazione, per poi infilarsi in salita in un boschetto in cui si cammina per qualche centinaio di metri per poi raggiungere il borgo di Migliarina.

Attraversata la ferrovia e la statale ci si avvicina al letto del fiume Magra e lo si segue su sterrata e asfalto minore, fino a svoltare nuovamente a sinistra e raggiungere la prima perla della giornata: la Pieve di santo Stefano a Sorano.

La-pieve-di-Santo-Stefano-a-Sorano

La pieve di Santo Stefano a Sorano

Sorta probabilmente al posto di un’altra chiesa medievale, la pieve ha un impianto di stile romanico ma ha una particolarità: le pietre utilizzate per le mura non sono squadrate ma sono ciottoli di fiume sistemati l’uno su l’altro e poi tenuti insieme con la malta.

L’interno è quello tipico delle pievi, scarno e povero, ma sulla controfacciata trovano posto due statue-stele trovate in zona durante alcuni scavi archeologici, il che dona un tocco di profano a un luogo sacro. Soffermarsi per un momento di raccoglimento (e di riposo) su uno dei banchi della navata centrale è d’obbligo, così come apporre il timbro sulla Credenziale nel limitrofo ufficio turistico.

Attraversata nuovamente la ferrovia, si sale verso il piccolo e affascinante borgo di Filattiera, attraversato il quale si torna a camminare nel bosco su un sentiero che si muove in quota e che dopo circa tre chilometri ci conduce ad un altro piccolo borgo, quello di Filetto, l’ennesima piccola gemma di questa bellissima terra che è la Lunigiana.

Il borgo di Filetto

Il borgo di Filetto

Il paese può apparire quasi disabitato, almeno il suo minuscolo centro storico che porta ancora i segni di un passato fortilizio con le sue torri circolari. Siamo nella terra dei Malaspina che qui regnarono per lungo tempo.

Da qui si prosegue in costa su strada bianca fino a ricongiungersi con la parte alta del paese di Villafranca. La si sfiora appena per poi seguire una strada che presto diventa sterrata e, infilatasi in un bosco, ci porta al piccolo paese di Virgoletta.

Qui l’aspetto di borgo fortificato è evidente. Costruito su due colline, ospitava su una il castello dei Malaspina e sull’altra la chiesa parrocchiale dei Santi Gervasio e Protasio. A unire le due parti, c’è una serie di case dalle alte mura su cui si aprono dei grandi terrazzi detti Volti Cinti.

Attraversare il borgo è come immergersi in un passato lontano fatto di contrapposizioni nobiliari e lotte intestine ma il silenzio e il fascino di questo luogo rendono assai piacevole il passaggio.

Siamo quasi a due terzi della tappa per cui conviene fermarsi qui per la pausa pranzo e un po’ di meritato riposo.

Di fronte abbiamo un lungo tratto nel bosco: circa sette chilometri che prima salgono ripidi fino ad arrivare alla base del Monte Aline poi scendono velocemente verso il fondovalle. Attraversata nuovamente la ferrovia, si torna su asfalto e si raggiunge l’abitato di Terrarossa dove si ritrova la statale. C’è un piccolo tratto non proprio piacevole da percorrere perché densamente trafficato, quello che attraversa il torrente Taverone e lungo il quale bisogna prestare particolare attenzione.

Aulla è proprio dall’altra parte del ponte, ma per raggiungere l’accoglienza dell’abbazia di San Caprasio bisogna attraversarne tutto il centro storico, non particolarmente affascinante a dire il vero, nonostante il paese sia storicamente punto tappa della Via Francigena.

Indicazioni per l'accoglienza di San Caprasio ad Aulla

Indicazioni per l’accoglienza di San Caprasio ad Aulla

La ventesima tappa: da Aulla a Sarzana

Sono solo 17 i chilometri della tappa odierna, ma non lasciatevi ingannare: la prima metà del percorso è quasi tutta in salita.

Usciti da Aulla si percorre il ponte che attraversa il torrente Bordine. Giunti dall’altro lato si gira a sinistra e poi subito a destra, per poi abbandonare l’asfalto e iniziare la salita su un sentiero un po’ impervio.

Sale ripido in un bosco fitto e in circa tre chilometri copre i trecento metri di dislivello che portano al Castello di Bibola. Il borgo, arroccato su una collina, è silenzioso e affascinante anche se del castello rimane assai poco.

 Il castello di Bibola

Il castello di Bibola

Percorrendo i vicoli si sale fino alla sommità del paese, dove svetta ciò che resta del torrione centrale, unica testimonianza di una fortezza più volte rivista nel suo impianto architettonico. Molte le famiglie che hanno via via abitato questo luogo, ma senza dubbio quella dei Malaspina è la più importante.

Lasciato il borgo ci si infila nuovamente sul sentiero e in breve tempo ci si immette in una strada che in poco più di un chilometro conduce al piccolo paese di Vecchietto, luogo all’apparenza disabitato.

Si segue la stradina in salita fino al bordo del paese e da lì si riprende il sentiero che improvvisamente si stringe e s’infila in una vegetazione fitta e ingombrante per via di alcune piante spinose (almeno al tempo del mio passaggio). L’ascesa è breve ma impegnativa, poco meno di tre chilometri e, quando si sbuca su un’ampia sterrata, abbiamo raggiunto il top altimetrico del giorno e la metà della tappa. C’è una piccola area ristoro con un tavolo, due panche ma soprattutto una tettoia che dona un po’ di salvifica ombra al viandante. È il posto ottimale per fare una sosta e mangiare qualcosa.

L'area di sosta alla fine della salita da Aulla

L’area di sosta alla fine della salita da Aulla

Da qui inizia la lunga discesa che segue un sentiero largo e comodo attraverso il bosco. Si cammina lungo il confine fra la Toscana e la Liguria e lo si attraversa poco prima di raggiungere il paese di Ponzano Superiore. Qui il bosco si fa meno fitto e la visuale improvvisamente si apre regalando la meravigliosa visione dell’orizzonte e del mare.

Dal paese di Ponzano si prosegue ancora su sentiero e in un paio di chilometri si arriva al castello della Brina (o meglio, alle sue rovine). Posto in un importante punto strategico, si trattava per lo più di una postazione difensiva, costituita fondamentalmente da una torre circolare, e nel 1279 fu al centro di una aspra contesa fra il vescovo di Luni e i Malaspina (sempre loro).

In tempi recenti, lunghi scavi archeologici hanno portato alla luce mura e fondamenta restituendo parzialmente l’immagine di come doveva essere la forma originaria della piccola fortezza.

Mancano poco più di cinque chilometri per arrivare a Sarzana e si cammina dapprima sul sentiero, poi ci si inserisce in una strada asfaltata e, girando a destra, la si segue fino a raggiungere l’abitato della bella città ligure.

Farsi un giro per il centro storico, visitare la fortezza e la cittadella, imponenti strutture fortificate, ed entrare nella concattedrale di Santa Maria Assunta e nella Pieve di Sant’Andrea gratificheranno il pellegrino per lo sforzo profuso.

La ventunesima tappa: da Sarzana a Pietrasanta

I percorsi cambiano nel tempo pur continuando a unire luoghi e punti tappa della Via. Ora si passa per le colline pedemontane, ma all’epoca si tirava dritti verso Pietrasanta su strade secondarie ed è per questo che la ventunesima tappa oggi si conclude a Massa. Io vi racconto la mia, per la nuova consultate il sito della Francigena.

Uscendo da Sarzana attraverso Porta Romana, si comincia a seguire l’Aurelia e la si abbandona quando, dopo quasi cinque chilometri, si raggiunge la stazione di Luni.

Si continua a camminare su una comoda e silenziosa stradina di campagna che scorre sinuosa fra filari di vite e ruderi romani fino a passare davanti all’anfiteatro che, se l’ora è presta come da copione, sarà chiuso ma si potrà sbirciare l’interno dal cancello.

Il sole sorge dietro le Alpi Apuane

Il sole sorge dietro le Alpi Apuane

Si prosegue costeggiando la ferrovia e camminando sotto lo sguardo attento delle Alpi Apuane. Tutto intorno ci sono depositi di quel marmo estratto da queste povere montagne che si riducono sempre di più.

Dopo pochi chilometri, si arriva fino alle porte di Massa dove il Cammino si appoggia su una ciclopedonale che in lieve salita porta fino in città. Raggiunta la sede del Comune, si può mettere il timbro sulla Credenziale, fare una meritata sosta e mangiare qualcosa. Siamo circa a metà dei 32 chilometri giornalieri e bisogna recuperare un po’ di energie.

Uscendo da Massa

Uscendo da Massa

Si esce da Massa e si ricomincia a seguire l’Aurelia, ma solo per un paio di chilometri, poi si gira a sinistra e si affronta la breve salita che porta al borgo di Montignoso. Lo si sfiora appena perché poi si attraversa un ponticello che scavalca il torrente e ci porta verso il Castello Aghinolfi. La salita copre 200 metri di dislivello e quando si arriva in cima una sosta è quantomeno doverosa. C’è una piattaforma di roccia su cui è appoggiata una struttura metallica che rappresenta la rosa dei venti. Spero che soffino un po’ quando ci passerete voi, perché quel giorno la canicola impazzava violenta.

 La rosa dei venti

La rosa dei venti

Si riparte con la strada che prima spiana per poi iniziare a scendere. Sono tante, fortunatamente, le fonti sotto le quali mettere il capo per trovare un pizzico di refrigerio e dove riempire la borraccia, ma per i più esigenti poco dopo si incontra il paesino di Strettoia che è dotato di bar. Alla fine della tappa mancano poco più di tre chilometri e sono tutti in piano.

La cittadina è molto bella e dopo un po’ di riposo vale la pena farsi un giro per visitarla. All’epoca le grandi statue bronzee di Igor Mitoraj, uno dei miei scultori preferiti, arricchivano piazze e strade del centro storico. Non so se siano ancora lì, di sicuro c’è che in questo borgo lo scultore sassone aveva trovato una seconda casa e uno dei suoi studi d’artista.

Una piazza di Pietrasanta con le sculture di Mitoraj

Una piazza di Pietrasanta con le sculture di Mitoraj

La ventiduesima tappa: da Pietrasanta a Lucca

Anche questa è una tappa lunga, altri 32 chilometri, ma la meta è prestigiosa e questo può stemperare un po’ la fatica, a meno che la canicola non abbia deciso di camminare con voi anche oggi.

Si esce da Pietrasanta seguendo la strada principale per qualche centinaio di metri, poi si gira a sinistra seguendo le indicazioni per Valdicastello Carducci. Un po’ prima di raggiungere il paese, si gira a destra e si comincia a camminare in leggero saliscendi alternando asfalto e sterrati, passando fra vigneti, boschetti di bambù, banani e ponticelli che attraversano piccoli torrenti. Va avanti così per tre chilometri abbondanti, poi ci si immette su strada e si raggiunge il centro storico di Camaiore dove c’è anche un bar che ristora i pellegrini e timbra loro anche la Credenziale.

 Uscendo da Camaiore

Uscendo da Camaiore

Dopo una breve sosta si comincia a seguire il ruscello salendo dolcemente, poi ci sono un paio di strappi niente male su strada e in bosco fino ad arrivare al minuscolo paese di Montemagno, dove una fontanella invita il viandante alla sosta e la borraccia a essere riempita. Il simbolo di questo luogo è un leccio secolare che è rispettato e protetto dai pochi abitanti come un nonno. Da qui, si comincia a scendere su una comoda strada immersa nel bosco che in circa cinque chilometri porta al piccolo borgo di Valpromaro.

L’ostello locale è un luogo del cuore, molto frequentato dai pellegrini e situato in un contesto veramente piacevole; anche se siete solo di passaggio vale la pena entrare e timbrare la credenziale.

L'ostello di Valpromaro

L’ostello di Valpromaro

C’è un’ultima salita da affrontare: quella che conduce al Passo delle Gavine e a Piazzano, un piccolo e meraviglioso paesino dove il silenzio la fa da padrone. Mancano poco più di dieci chilometri a Lucca e sono tutti in discesa ma sembrano non finire mai.

Quando si attraversa il fiume Serchio sul ponte di Sant’Ansano, impreziosito da alcune belle statue, sembra quasi di essere arrivati e invece, poco dopo il ponte, si gira a sinistra (per evitare il traffico della statale che entra in città). Si continua a camminare su un sentiero che segue il lungofiume e conduce il viandante fino alle mura storiche che circondano Lucca,  lasciandolo entrare attraverso la porta di San Donato.

Le mura di Lucca

Le mura di Lucca

Lucca è bella, così bella da far venire il capogiro. Se avete ancora tempo ed energie, andate a visitarla o almeno entrate nel Duomo di San Martino per timbrare la credenziale, soffermarvi un attimo davanti al Volto Santo (ve ne avevo parlato nell’articolo dedicato alla via che porta il suo nome: lo leggete qui) e passare le dita sul marmo scolpito in forma di labirinto che ne abbellisce la facciata. Il labirinto è uno dei simboli del pellegrinaggio e compiere quel piccolo gesto darà un sapore particolare a tutto il Cammino.

Il duomo di San Martino a Lucca

La ventitreesima tappa: da Lucca ad Altopascio

 Dopo due tappe da oltre trenta chilometri ce ne vuole una più breve: solo 18 chilometri e mezzo dividono partenza e arrivo e i dislivelli si riducono a qualche leggerissimo saliscendi.

Si esce da Lucca attraversando Porta Elisa e ci si dirige via asfalto verso l’abitato di Capannori per poi proseguire verso quello di Porcari, poco prima della metà della tappa odierna. Qui si può fare una piccola sosta e riempire la borraccia.

Dopo poco più di un chilometro,  si abbandona la strada per una sterrata che gira a destra verso un boschetto e prosegue fino a raggiungere l’abbazia camaldolese di Pozzeveri. Qui, nell’ex canonica e nella casa colonica recentemente restaurate, è stato allestito un bellissimo Ospitale per i pellegrini in transito. La chiesa, invece, versa in condizioni di abbandono nonostante la zona intorno, compreso il vecchio cimitero, siano stati recentemente oggetto di scavi archeologici e conservativi: un vero peccato.

Pellegrini in cammino verso l’abbazia di Pozzeveri

Ad Altopascio mancano all’incirca tre chilometri che si coprono camminando lungo una piccola strada di campagna che si inserisce nella via d’accesso principale a un passo dalla stazione del treno. Ancora pochi passi e si raggiunge il bel centro storico di questo antico borgo cresciuto nel segno del Tau e dei suoi cavalieri, uno dei più antichi ordini religiosi e cavallereschi d’Europa. I Cavalieri del Tau hanno avuto da sempre sede qui e si occupavano dell’assistenza ai pellegrini e di molte altre cose legate al territorio. Il loro simbolo si trova praticamente ovunque, dalle pareti dei palazzi ai tombini di ghisa, dalle insegne di bar e ristoranti ai souvenir nei negozi.

Uno scorcio di Altopascio

L’ostello del Pellegrino, in pieno centro storico, accoglie i viandanti con grande entusiasmo e gentilezza come a testimoniare che la vecchia tradizione degli Antichi Cavalieri non è andata perduta.

La ventiquattresima tappa: da Altopascio a San Miniato

I 29 chilometri che separano Altopascio da San Miniato sono tanti, ma la tappa nel suo complesso è veramente ricca di fascino.

Dopo un breve tratto di asfalto per uscire dal paese si prende un sentiero sulla sinistra che s’inoltra attraversa un bosco e sbuca in uno dei punti più belli di tutta la Via Francigena. È un tratto di strada bianca da cui affiorano, grazie a un sapiente lavoro di scavi, le antiche pietre della vecchia Strada e i ciottoli su cui si cammina danno a ogni passo che si compie un sapore speciale, quello della storia.

L’antica pavimentazione della Via Francigena a Galleno

Quando si arriva al piccolo paese di Galleno, il vecchio tracciato scompare nuovamente sotto terra e la Via si avventura su un sentiero che attraversa una zona paludosa e dopo poche centinaia di metri entra nell’affascinante mondo delle Cerbaie.

Questo altopiano, situato cento metri sopra il livello del mare, è circondato dalle acque, quelle del padule di Fucecchio e del canale Usciana. È un microcosmo silenzioso dove la vegetazione a macchia cresce spontanea e rigogliosa. Bisogna prestare un po’ di attenzione nel percorrere questo lungo e affascinante tratto, perché i sentieri che l’attraversano sono tanti e s’incrociano e a volte può succedere di perdere di vista la segnaletica. Per cui apritevi le tracce GPS sul telefono e controllate ogni tanto di essere sulla retta via.

Camminando nelle Cerbaie

Sono quasi cinque chilometri di ambiente selvaggio, un vero paradiso in cui immergersi e di cui godere, almeno secondo me. Quando si esce, una bella discesa porta giù fino a Ponte a Cappiano dove si attraversa il canale Maestro sullo storico ponte coperto: è un buon luogo per fare sosta e riposarsi un po’.

Si continua svoltando a sinistra e proseguendo su sentiero lungo l’argine del canale fino a incrociare nuovamente la strada e raggiungere Fucecchio. Per guadagnare il belvedere e l’abbazia di San Salvatore, bisogna salire ma non ci vuole molto e la vista che si gode da lassù è molto bella. Entrate nella chiesa e lasciate che le monache di clausura ritirino la vostra Credenziale attraverso la ruota conventuale – un gesto dal sapore antichissimo – e ve la restituiscano debitamente timbrata.

Panorama da Fucecchio

Si scende verso il centro del paese e si comincia a camminare verso la fine della tappa: San Miniato.

Sono nove i chilometri rimasti da coprire: sette sono in piano e prevedono l’attraversamento dell’Arno e quello di un tratto di campagna. Poi, oltrepassata la ferrovia, si giunge in breve a San Miniato Basso dove ci si può concedere un’ultima breve sosta prima di affrontare la salita che porta alla parte alta, il borgo vero e proprio. Taglia un po’ le gambe, ma la fatica viene ricompensata dalla bellezza del luogo. Come al solito, se avete ancora energie a disposizione, salite nel punto più alto dove la torre del Barbarossa domina la valle dell’Arno e tutte le colline circostanti.

A Roma mancano 321,8 km.

Il borgo di San Miniato

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Tutte le foto che vedi in questo articolo sono di Andrea Vismara: se vuoi utilizzarle, ricordati di menzionarlo e taggare managaia.eco. Grazie!

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