La Via Francigena: le tappe nel Lazio

Scopriamo le ultime tappe della Via Francigena, quelle nel Lazio, da Radicofani fino a Roma. Il racconto di Andrea Vismara.

Gli ultimi nove giorni lungo la Via Francigena attraversano il Lazio, la Tuscia in buona parte, e conducono alla Basilica di San Pietro in Vaticano dove si conclude il percorso. In realtà, storicamente, i pellegrini continuavano a spingersi verso sud raggiungendo Bari, Brindisi e Santa Maria di Leuca dove si imbarcavano sulle navi dirette verso la costa della Palestina e proseguire il cammino fino a Gerusalemme. Questo però è il racconto della Francigena del nord.

La trentunesima tappa: da Radicofani ad Acquapendente

La strada sterrata che da Radicofani scende fino a Ponte a Rigo è una di quelle in grado di toglierti il fiato, non per la fatica ma per lo stupore. La discesa si svolge lungo un bellissimo crinale con panorami mozzafiato da entrambe i lati e se l’ora è presta e una leggera bruma occupa le valli sottostanti vi assicuro che rimarrete a bocca aperta pure voi.

Scendendo da Radicofani

Quando si raggiunge il fondovalle si sono già percorsi sette dei 24 chilometri giornalieri. Ponte a Rigo è una specie di villaggio inesistente composto da una strana chiesetta e da poche case, ma c’è un bar dove oltre a fare una seconda colazione potete timbrare la Credenziale.

Da qui, si percorre un chilometro della Cassia dove bisogna prestare un po’ di attenzione, poi la si abbandona per imboccare una strada a sinistra e si ritorna a camminare con una certa tranquillità.

Una sosta a Ponte a Rigo

Percorsi cinque chilometri si lascia l’asfalto per una bella sterrata che attraversa una vallata piena zeppa di girasoli, un vero e proprio mare giallo in cui nuotare, e che poi inizia a salire lungo un bel crinale da cui si può ancora ammirare in lontananza la rocca di Radicofani.

Il piccolo e grazioso borgo di Proceno, pochi chilometri più avanti, è il luogo perfetto per fare una sosta e rifocillarsi anche perché ad Acquapendente mancano solo sei chilometri.

La Via percorre dapprima un sentiero al tempo non troppo curato per sbucare di nuovo su una strada asfaltata che poco dopo lambisce la Cassia senza incrociarla. Si gira infatti a destra imboccando una strada poco trafficata che sale ripida nel bosco e dopo un paio di chilometri incontra nuovamente la Consolare, la percorre brevemente per poi seguire una strada che parte dalla sinistra e in breve conduce nell’abitato di Acquapendente.

Il borgo è ricco di fascino, soprattutto la parte alta, per cui vi consiglio vivamente di prendervi un po’ di tempo per fare un giro e soprattutto per visitare la Chiesa del Santo Sepolcro e la sua affascinante cripta. La chiesa deve il suo nome al fatto che qui è conservata una pietra macchiata di sangue che secondo la tradizione proverrebbe dal Santo Sepolcro di Gerusalemme.  Una volta usciti, recatevi nell’attiguo centro informazioni dove potrete mettere il timbro sulla vostra Credenziale.

La chiesa del S. Sepolcro ad Acquapendente

La trentaduesima tappa: da Acquapendente a Bolsena

Si esce da Acquapendente percorrendo un breve tratto della Cassia, vero leitmotiv di queste tappe in direzione di Roma fin dalla Val d’Orcia, poi si svolta a sinistra e poco dopo si imbocca una comodissima sterrata che attraversa campi con coltivazioni di mais e degli inevitabili girasoli.

Le attività contadine iniziano all’alba per cui è facile imbattersi in irrigatori agricoli che sparano acqua tutto attorno creando giochi di luce con il sole nascente.

Si prosegue così per qualche chilometro attraversando la Consolare per poi cavalcarla più avanti per entrare nel piccolo borgo di San Lorenzo Nuovo, l’unico paese che si incontrerà oggi. Siamo quasi alla metà dei 22 chilometri giornalieri e questo è un ottimo posto per fare una sosta, mangiare qualcosa e riempire la borraccia alla fontanella che si trova in Piazza Europa. È uno strano luogo: sembra che dopo la piazza, in fondo alla strada, non ci sia nulla, una sorta di vuoto cosmico.

Il fatto è che ci troviamo proprio sul bordo del cratere vulcanico che ospita il lago di Bolsena e affacciarsi offre una delle viste più emozionanti dell’intera Francigena.

Si prosegue camminando su un bel sentiero che in dolce saliscendi si muove fra boschi e campi e ogni tanto permette allo sguardo di muoversi nuovamente sul lago. Ogni tanto si incontra qualche panchina dove sostare e più avanti c’è anche una fontanella dove dissetarsi e ricaricare la borraccia. Ma il vero regalo sono alcuni alberi di susine pronte per essere colte e che offrono al palato del viandante un piccolo momento di piacere.

La targa che indica il percorso verso Bolsena

Il borgo di Bolsena è ormai vicino e potete scegliere se dormire in paese o prendere una strada sterrata poco prima di arrivarci e raggiungere un ostello bello e isolato. Allungherete il percorso di un chilometro ma potrete cenare in un patio vista lago e vi assicuro che mi ringrazierete.

La trentatreesima tappa: da Bolsena a Montefiascone

La tappa dovrebbe essere breve, sedici chilometri appena ma se come me avete dormito all’ostello dovete aggiungerne due al computo finale.

Uno scorcio del borgo di Bolsena

Abbandonato il bel borgo di Bolsena, il cammino si immerge in un ambiente di rara bellezza: si cammina costantemente in saliscendi fra tratti in bosco, ulivi, vigne e ville affacciate sul lago percorrendo sentieri e tratti di strade sterrate. Il lago è sempre lì, ci si gira intorno lentamente godendo dei riflessi color pastello che l’acqua immobile regala, un vero e proprio spettacolo.

Il lago di Bolsena poco dopo l’alba

Quando si arriva al bosco di Turona siamo vicini a metà della tappa. Il luogo è meraviglioso, un bosco magico con alti alberi che regalano ombra e tanto silenzio. C’è anche una fonte con acqua freschissima e buona che invita alla sosta.

Si riparte in discesa per un po’, poi la sterrata prosegue in costa fino a quando sulla sinistra si incontrano un sasso e un albero su cui ci sono grossi segni e frecce che indicano di scendere per un sentierino scosceso.

In rapidi e stretti tornanti scende fino al fondo della valletta dove scorre un ruscello, il fosso di Arlena. Ci sono delle pietre che facilitano l’attraversamento, poi si risale dall’altra parte sempre con ripidi tornanti. Quando si esce dalla forra, ad attenderci, c’è un campo di ulivi ma soprattutto la storia, quella con la S maiuscola.

Sulla Cassia antica

Un tratto della Cassia Antica scorre sotto i piedi, con il suo basolato ben conservato e ancora al suo posto dopo più di duemila anni. San Francesco percorse questo tratto a piedi scalzi nel suo pellegrinaggio del 1222 e ripetere quell’esperienza può essere veramente un bel momento.

Si procede camminando in quota fino ad arrivare alla Fontana del Sambuco, un’area sosta molto bellina con il suo salice piangente e le sue panchine, ma il getto d’acqua del fontanile è più che altro un gocciolare quindi non fate affidamento su di essa per riempire la borraccia.

La Fontana del Sambuco

Dopo circa un chilometro, ci si immette nuovamente sulla Cassia e la si segue fino alle porte di Montefiascone dove, su un curvone, si trova una grande pietra miliare con il numero 100 inciso in grossi numeri neri. Segna i chilometri che mancano a Roma per chi va in macchina, ma è comunque un bel traguardo parziale.

Più avanti su un lungo muro grigio sistemato su un prato, una scritta ricorda che siamo nella città dell’Est! Est!! Est!!!, il vino reso celebre dalla frase che Martino, servitore di Johannes Defuk, vescovo e grande amatore di vino in viaggio per Roma, scrisse sulle mura di un’osteria segnalando la bontà del vino locale.

Il chilometro 100 della Via Francigena

Il centro storico di Montefiascone è ben tenuto e ricco di cose da vedere, ma e tutto rigorosamente in salita. In cima ci sono i resti di una rocca fortificata e da lassù la vista sul lago è impareggiabile.

Timbrate la Credenziale al punto informazioni e poi cercate un’osteria dove assaggiare dell’ottimo pesce di lago, il coregone fra tutti.

Il lago di Bolsena vista da Montefiascone

La trentaquattresima tappa: da Montefiascone a Viterbo

Tappa breve e facile quella odierna: solo diciotto chilometri prima in discesa poi in piano attraverso la campagna. Vi consiglio però di fare scorta d’acqua perché non si attraversa alcun centro abitato.

La strada scende ripida e improvvisamente diventa antica: siamo di nuovo sulla Cassia e ci si rimane per un bel pezzo. I basoli sono conservati benissimo e camminare lungo questa storica direttrice è veramente un’esperienza affascinante.

Quando le pietre finiscono, inizia la sterrata che si muove fra i campi e passa sotto la ferrovia un paio di volte prima di affrontare la modesta salita di monte Jugo. Dalla cima si gode un bel panorama sulla campagna viterbese e c’è anche un’area sosta da cui farsi tentare.

La Cassia Antica dopo Montefiascone

Una volta scesi bisogna attraversare la Strada Provinciale 7 della Commenda, molto trafficata, per cui prestate attenzione. Si prosegue dritti e, a un certo punto, ci si trova davanti al Bagnaccio, storico luogo termale fin dai tempi dei Romani dove legionari e in seguito i viandanti trovavano ristoro e riposo grazie alle proprietà curative delle sue acque.

Ci venivo da ragazzo con gli amici, quasi sempre di notte e trovarlo non sempre era facile; c’erano alcune pozze libere e selvagge e immergersi, soprattutto in inverno, era una goduria. Ora è gestito da un’associazione che ha pulito e sistemato tutto: se volete vivere un’esperienza di altri tempi, entrate, versate la quota associativa e concedetevi un bagno rigenerante in una delle vasche di acqua sulfurea. Sono cinque e hanno diverse temperature. Per sicurezza controllate orari ed eventuali chiusure sulla loro pagina Facebook.

A Viterbo mancano solo otto chilometri che si fanno velocemente anche grazie alla bellezza del paesaggio circostante che alleggerisce i passi.

Uno scorcio del quartiere San Pellegrino

Per entrare in città si attraversa Porta Fiorentina e, una volta posato lo zaino in accoglienza, resta tempo a sufficienza per farsi un giro. La parte più bella è sicuramente il quartiere San Pellegrino, medievale, suggestivo e soprattutto libero dalle macchine che sembrano assediare il resto della città. Non mancate di visitare la storica Loggia dei Papi nella Piazza di San Lorenzo dove, nell’ufficio turistico, potrete timbrare la Credenziale.

Viterbo segna un punto di svolta in questo Cammino, il passaggio alla doppia cifra: a Roma mancano mancano infatti 95,3 chilometri.

La loggia dei papi a Viterbo

La trentacinquesima tappa: da Viterbo a Vetralla

Si esce da Viterbo attraverso Porta Valle e, dopo aver attraversato un parchetto, si comincia a camminare su via Signorino, una stradina stretta e solitaria, che alterna asfalto a tratti sterrati.

Pochi minuti e si arriva davanti a un altare votivo dedicato ai SS. Ilario e Valentino, molto cari ai viterbesi in quanto martirizzati proprio da queste parti. Le loro reliquie sono custodite nella Cattedrale di San Lorenzo.

A un certo punto, la strada si infila in una tagliata etrusca dalle alte pareti e anche qui la storia assale il viandante con la sua antica energia. Gli Etruschi, oltre a essere un popolo la cui storia è ancora velata di mistero, erano degli ingegneri incredibili capaci di scavare nel tufo con attrezzi in bronzo o rame profonde vie chiamate Cavatoni o Vie Cave, utilizzate per scopi rituali e per l’accesso a luoghi sacri o al Regno dei Morti.

La tagliata etrusca

Poco dopo essere usciti da questo luogo, si raggiunge un bivio con un tabernacolo dedicato alla Madonna, dove si prende la sinistra per via Risiere, in cui si trova anche una piccola area sosta per pellegrini.

Il paesaggio cambia: dapprima si segue la Statale camminando di fianco ad ampi campi agricoli, poi la si abbandona per immergersi in leggera salita in un paesaggio fatto di ulivi e vigne fino a raggiungere la sommità di un crinale.

Un casale abbandonato alle porte di Vetralla

Una breve sosta per bere e poi si riparte in un dolce saliscendi, prima su asfalto poi nuovamente su strada bianca, e in poco più di un’ora si raggiunge l’abitato di Vetralla.

Il paese è bello e avrebbe buone potenzialità turistiche, ma regna un po’ di incuria. Inoltre, le fontanelle per dissetarsi sono interdette per via dell’alta concentrazione di cianuro nell’acqua. Un vero peccato.

La trentaseiesima tappa: da Vetralla a Sutri

Sono ventiquattro i chilometri che dividono i due borghi, ma l’ambiente in cui ci si muove è talmente suggestivo da renderli quasi inconsistenti.

La strada, un lungo rettilineo asfaltato che risponde al nome di via dei Cappuccini, sale ripida verso un monastero dove spiana e, attraversata una piccola frazione, diventa sterrata ed entra in un bosco meraviglioso fatto di querce antichissime e altri alberi enormi.

Si procede così per qualche chilometro fra ombra e luce, bosco e radura poi il paesaggio cambia ancora, si entra nei noccioleti (questa zona è fra le più importanti in Italia per la produzione delle nocciole). Gli alberi sono bassi, dalle chiome ampie e regalano tanta ombra anche se un gigante come me ha difficoltà a passarci sotto.

Le torri di Orlando

Improvvisamente dagli alberi emergono dei ruderi: sono le famose torri d’Orlando. Due sono tombe romane e la terza è ciò che resta del campanile di una chiesa romanica che non esiste più. È un luogo molto suggestivo e il silenzio assoluto lo rende ancor più magico per cui concedetevi una sosta.

Da qui a Capranica sono pochi chilometri e il il borgo antico merita una visita per cui vi consiglio di fare la “via alta” traversando il paese da porta a porta e perdervi per un attimo nella vita di questo borgo, nei suoi odori, nelle sue voci.

Il borgo di Capranica

Scendendo per una ripida scala, si raggiunge un piazzale e da lì cominciano gli ultimi cinque chilometri. Il sentiero riparte sulla destra con una pendenza abbastanza impegnativa poi, raggiunto il punto più alto, svolta a sinistra e comincia a scendere lentamente verso Sutri.

Il borgo è un gioiellino con i suoi vicoli, le piccole piazze, le fontane e tutto il resto ma il vero pezzo forte è l’Anfiteatro.

Anfiteatro di Sutri

È una vera meraviglia, un prodigio architettonico: non è stato costruito bensì completamente scavato nel tufo, e lo stato di conservazione è tutto sommato buono per gli anni che ha. Fuori, inoltre, c’è una serie di tombe rupestri e di grotte. La leggenda narra che in una di queste sia nato niente po’ po’ di meno che il Paladino Orlando.

A Roma mancano 58,9 chilometri.

Le tombe rupestri a Sutri

La trentasettesima tappa: da Sutri a Campagnano

Scendendo dal borgo, si raggiunge nuovamente l’Anfiteatro per poi percorrere, facendo molta attenzione, un chilometro di Cassia. Qui parte una strada secondaria che corre parallela alla Consolare ma in sicurezza. Siamo di nuovo fra alberi di nocciole e uliveti.

E in poco tempo si giunge al paese di Monterosi, ottimo luogo per sostare e fare scorta di acqua.

La campagna dopo Monterosi

Si percorre quindi lo svincolo della Cassia, fortunatamente messo in sicurezza con una corsia pedonale, poi ci si inoltra nuovamente fra i campi.

La sterrata è tranquilla, quasi completamente in piano, passa fra terreni coltivati e qualche villetta fino a raggiungere una strada asfaltata attraversata la quale incontriamo nuovamente i basoli di una vecchia strada romana. Si prosegue ancora per un paio di chilometri fino a incontrare Via del Cascinone.

Qui ebbi un incontro poco piacevole con un branco di pastori maremmani che sorvegliavano un gregge e che hanno fatto di tutto per mettermi in agitazione: forse non sono sempre lì, comunque prestate attenzione e documentatevi per tempo su come comportarsi con questi cani. Lasciatemi dire che i dieci minuti in cui mi hanno accompagnato minacciosi sono stati fra i più lunghi della mia vita.

Le cascatelle di Monte Gelato

La sterrata sbuca su una strada asfaltata, via Ronci, e la si prende a destra seguendola fino ad arrivare alle cascatelle di Monte Gelato, un luogo bellissimo. Ai tempi non era possibile fare il bagno per via della salmonella. Una fattoria più a monte sversava impunemente liquami inquinando l’acqua: spero che la situazione sia cambiata.

Si riparte per gli ultimi chilometri che scorrono sereni fra prati, boschetti e qualche mucca (maremmana anch’essa ma pacifica).

Una mucca maremmana

Per raggiungere il borgo di Campagnano c’è da fare una salita ripida che, dopo ventisette chilometri di tappa, può risultare veramente faticosa ma è anche una delle ultime di questa lunga Via. Campagnano alterna begli scorci a brutture architettoniche inspiegabili ma vale comunque la pena farsi un giro.

A Roma mancano 38,2 chilometri.

La trentottesima tappa: da Campagnano a La Storta

Panorama dei tetti di Campagnano

La penultima è una bella tappa lunga circa 22 chilometri che dal borgo di Campagnano conduce alle porte di Roma.

Si esce attraverso via San Sebastiano e si prosegue in leggera salita per poco più di un chilometro. Quindi si scende nuovamente attraverso strade di campagna fino ad arrivare al meraviglioso santuario della Madonna del Sorbo. Abbiamo già percorso cinque chilometri e la quiete di questo luogo intriso di spiritualità invita a concedersi una breve sosta.

Il santuario della Madonna del Sorbo

Si riparte in leggera salita e ci si immerge nei bellissimi boschi che compongono il Parco di Veio, un’ampia zona protetta dove poter ammirare una ricca flora e una fauna variegata. In appena tre chilometri, si giunge al grazioso borgo di Formello. Qui troverete lo splendido Palazzo Chigi, sede di un museo e della biblioteca dove si può timbrare la Credenziale. Un tempo ospitava anche un ostello che però ha chiuso definitivamente (un vero peccato). Accanto al Palazzo, c’è la chiesa di San Lorenzo al cui interno, nella navata di destra, c’è una meridiana risalente alla fine del 1700, affiancata da dodici riquadri ora in fase di ricostruzione che rappresentano i segni zodiacali. Sulla parete in fondo, attraverso un piccolo buco, la luce del sole filtra andando a colpire la linea del tempo permettendo di conoscere l’istante esatto del mezzogiorno, l’ora del sorgere del sole e la durata del giorno. È un vero gioiello, non ve la perdete.

Il cortile di Palazzo Chigi a Formello

Riempita la borraccia si riparte in discesa attraversando un lungo tratto panoramico fra campagna e tratti in bosco dove incontrerete antichi fontanili, mucche al pascolo e qualche sito archeologico, come il Tumulo della Vaccareccia, tomba etrusca su cui sono cresciuti dei pini.

Dopo circa diciotto chilometri, si raggiunge l’abitato di Isola Farnese, piccolo e affascinante, che merita una breve visita.

Gli ultimi due chilometri per arrivare a La Storta sono tutti su asfalto e non sono piacevoli. Entrando in questa periferia bruttina si percepiscono già la città incombente e la conclusione del Cammino. L’ultimo assaggio del viaggio alle spalle è una pizzeria al taglio che offre il menù pellegrino, una consuetudine che riporta ai giorni passati.

A Roma mancano solo 15 chilometri.

La trentanovesima tappa: da La Storta a Roma

La tappa, per come è strutturata, durerebbe poco meno di venti chilometri e prevederebbe l’attraversamento del Parco di Monte Mario, bello e panoramico, ma io ho deciso di seguire un percorso alternativo più breve, non per accorciare il chilometraggio ma per un motivo di sentimento.

Lasciata La Storta alle spalle si segue per un lungo tratto la Cassia. I marciapiedi appaiono e scompaiono per cui prestate attenzione alle macchine in transito.

Subito dopo aver attraversato il cavalcavia che supera il Grande Raccordo Anulare, si gira a destra e si entra nel bel parco dell’Insugherata seguendo un sentiero fino a ritrovarsi di nuovo fra le case della periferia nord ovest e incrociare la via Trionfale. Qui i marciapiedi si fanno stabili e il camminare più sicuro almeno dal punto di vista pratico, perché da quello emotivo si complica un po’. Io da queste parti ci sono cresciuto, le conosco bene, e il Cammino, neanche a farlo apposta, passa davanti a tanti dei luoghi che hanno segnato la mia adolescenza.

Piazza Walter Rossi; la chiesetta dove Aldo Moro si fermava sempre per la messa mattutina; il civico 5697, la prima casa che io ricordi, quella dove sono cresciuto. E poi la pineta dove andavo a giocare; il bivio per l’Osservatorio astronomico e per il bar Lo Zodiaco; il curvone panoramico luogo di incontri romantici; il chiosco delle grattachecche della Sora Maria con il suo fenomenale lemon-cocco. Ogni cosa lungo questi ultimi chilometri è legata a un ricordo.

Il Cupolone visto da via Trionfale

Finita la discesa di via Trionfale si imbocca via Leone IV, la si segue fino a Piazza Risorgimento, poi ci sono gli ultimi metri da fare fino ad attraversare il colonnato del Bernini ed entrare in Piazza San Pietro, la fine del Cammino.

All’epoca per mettere l’ultimo timbro sulla Credenziale e ritirare il Testimonium, la pergamena che attesta l’avvenuto pellegrinaggio, si entrava in Vaticano. Ora c’è un ufficio apposito in via della Conciliazione. Comunque sia, vedersi consegnare questo foglio con il proprio nome scritto in una grafia antica è stato un momento bellissimo che mi ha portato a un pianto liberatorio.

La Basilica di San Pietro alla fine del Cammino

La Via Francigena (come qualsiasi Cammino) non è solo un percorso a piedi attraverso la Storia e sulle orme degli antichi pellegrini, è soprattutto un viaggio dentro sé stessi, un’esperienza che, soprattutto se vissuta in solitaria, permette una profonda introspezione e regala la possibilità, anche se solo per 39 giorni, di scoprire che per vivere non serve molto: uno zaino, poche cose al suo interno e la voglia di sentirsi liberi.

 

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Tutte le foto che vedi in questo articolo sono di Andrea Vismara: se vuoi utilizzarle, ricordati di menzionarlo e taggare managaia.eco. Grazie!

 

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