La neve era caduta fitta tutta la notte.
La donna e il suo bambino furono svegliati da un silenzio profondo, compatto. Certamente erano rimasti isolati. La donna provò ad alzare la cornetta del telefono che aveva accanto al letto e questa rimase muta, lei sentì solo un sibilo lontano, come di vento che soffia lungo i fili. Il bambino si alzò dal letto ma la donna non percepì nessun cambiamento nella forma del materasso, il suo corpo era troppo leggero. Il bambino si trascinò pigramente fino alla finestra, strusciando i piedi nelle calze di lana, con un dito disegnò un cerchio sul vetro, ci passò sopra la mano per togliere la condensa e guardò di fuori.
«Mamma, la neve!» esclamò. Era tutto così bianco che sembrava di essere sulla luna. Appoggiò le ginocchia al calorifero e pensò che fuori doveva fare proprio freddo, chissà come avrebbero fatto le lepri bianche a scaldarsi, la loro pelliccia morbida sarebbe bastata a coprirli? Se fosse stato per lui, avrebbe aperto le porte di casa e avrebbe invitato tutte le lepri del bosco a scaldarsi davanti al suo camino. Centinaia di lepri. Nel frattempo anche la donna si alzò, sbadigliò, con gesto distratto rincalzò la trapunta a rettangoli blu e rossi e si avviò verso il bagno. Il bambino sentì lo scroscio dell’acqua e pensò che non aveva nessuna voglia di lavarsi la faccia, fuori faceva così freddo che l’acqua si sarebbe ghiacciata in un istante. Rimase qualche minuto a guardare fuori, come sospeso, cercando di osservare un qualche movimento provenire dalla foresta, ma niente, tutto era immobile, la foresta era come marmorizzata e il bambino faceva fatica a immaginare che in un’altra stagione quei rami spogli e cristallizzati fossero pieni di foglie verdi e frementi. Si diresse verso la cucina, attratto dall’odore del pane abbrustolito, adorava quell’odore e l’odore della mamma quando abbrustoliva il pane. Si accorse che la sua mamma era nervosa dal gesto brusco con cui spalmava il burro sul pane dalla crosta brunita. Il bambino si arrampicò sulla sedia e aspettò che la mamma gli servisse la colazione. Una luce biancastra filtrava dalla finestra e qualche cristallo di neve vi si appiccicava sopra.
«Oggi non vado a scuola, vero?»
«Nessun pulmino della scuola verrà mai a prenderti con una giornata così.»
“Benedetta la neve”, pensò il bambino.
«E poi comunque la scuola oggi resterà chiusa.»
«Perché?»
«Perché domani è Natale, sciocchino, non hai controllato il tuo calendario?»
E invece sì, mille volte, finestrelle di cartone che nascondevano minuscoli disegni a sfondo blu, aperte delicatamente prima del tempo per poterle richiudere e aprirle di nuovo, spalancarle nel giorno venuto, come una finestra in una mattina di sole. Forse per il troppo guardarle si era confuso, la vigilia era arrivata, a tradimento, portando con sé la tempesta di neve.
«Speriamo che lo zio venga a prenderci» disse la donna.
Il bambino vide che i suoi occhi erano un pozzo oscuro dentro cui si poteva scivolare, allora si aggrappò alle sue gambe, «Natale… Natale…», mormorò, odore di zucchero e pane. Cercò di reprimere la sua gioia per non apparire sfrontato e troppo manifestamente distante dallo stato d’animo della madre, che pareva piuttosto quello di chi si prepara a un funerale invece che a una nascita. Eppure lei lo aveva spiegato così, il Nostro Signore nasce, rinasce ogni volta per rimanere tra gli uomini ora e sempre. Come gli piaceva quell’espressione, “ora e sempre”, qualcosa di inspiegabile, un mistero che non smetteva di occupare i suoi pensieri. Ora e sempre, come potevano andare insieme la qualità del presente e l’eternità del tempo, come si poteva contare l’infinito? E come era possibile rinascere ogni anno? Forse era un modo per non invecchiare mai, per ingannare il tempo, come certe piante del bosco che l’inverno parevano secche e morte e poi improvvisamente, con l’allungarsi delle giornate, rinverdivano e cacciavano le foglie, piccole e fresche, foglie neonate, proprio come quel bambinello nella paglia, nudo, fragile. Se Gesù fosse nato qui, pensava il bambino, sarebbe morto sul colpo.
Scrittrice, vive tra Parigi e Roma.
Dopo aver seguito i lavori della COP21 nel 2015 a Parigi, ha deciso di coinvolgersi nel movimento ecologista e ha scritto il romanzo “Dopo la pioggia” pubblicato dalla casa editrice E/O che tratta di questi temi. Cerca di educare i suoi figli alla sobrietà felice e la parità di genere, ha piantato un orto in Piemonte con i principi della permacultura e aspetta con impazienza il ripristino del treno notturno Parigi Roma.