La terza parte della Via Postumia che attraversa il Veneto porta il viandante attraverso luoghi ricchi di storia, non solo quella romana ma soprattutto quella legata a Napoleone e alla Guerra d’Indipendenza, città importanti e paesaggi diversi morfologicamente ma egualmente affascinanti.
Partiamo da Brendola, dove era finito l’articolo precedente (leggilo qui).
La quindicesima tappa
Sono 25 i chilometri che dividono Brendola da Gazzolo d’Arcole punto di arrivo della tappa.
Svegliarsi nella magia dei Colli Berici, nel silenzio dei suoi vigneti che si stendono a perdita d’occhio, è il miglior modo di iniziare una giornata di Cammino.

Dall’accoglienza si raggiunge il fondo della valle e per un po’ si cammina in piano, poi la strada gira a sinistra e inizia la prima salita del giorno.
Si cammina prima su asfalto, poi su una sterrata e alla fine ci s’infila in un bel bosco che può rivelarsi infido e fangoso se la notte precedente ha piovuto, ma che porta sulla sommità del crinale in località Grancona. Una sosta è d’obbligo, sia per riposarsi un attimo dalla fatica del dislivello coperto sia per ammirare la splendida vista che si gode da lassù. All’orizzonte, lontane ma non troppo, si stagliano le creste delle montagne vicentine, il Pasubio e, inevitabilmente, il Monte Grappa.
Il paesaggio tutto intorno è coperto da vigneti e da campi da foraggio; qua e là sbuca qualche casale a fare da contrappunto.
Si continua immersi in un silenzio incredibile rotto soltanto dallo sporadico abbaiare di un cane e in un costante saliscendi, i crinali del resto sono fatti così. La natura regala piccoli doni preziosi per chi è in Cammino; gli alberi di gelso sono ovunque e i loro frutti, ottimo integratore a km zero, sono lì per essere colti e mangiati. Poco dopo inizia la veloce discesa verso il paese di Lonigo.

Poco prima dell’abitato s’incontra il Monastero Francescano di San Daniele che, previa consultazione degli orari, merita una visita. Costruito nel 1447, fu abbandonato poco dopo per via delle soppressioni napoleoniche e cadde in rovina. Solo nel 1892 fu restaurato e oggi è un centro molto attivo che offre numerosi servizi per le persone disagiate fra cui una mensa dei poveri cui potete accedere previa presentazione della credenziale del pellegrino.
Il centro storico di Lonigo è piccolo ma sorprendentemente bello con i suoi portici e la bella piazza, dove si svolge il mercato settimanale; qui fino a qualche anno fa si teneva la fiera campionaria più importante del Veneto, soprattutto per i cavalli e nonostante attualmente si sia un po’ ridimensionata, c’è a testimoniarne l’importanza una statua situata al centro di una rotonda che ritrae un uomo che cerca di ammansire un cavallo imbizzarrito.

Il cammino prosegue lungo la provinciale e, poco fuori dal paese, s’incontra il bel Santuario di Santa Maria dei Miracoli. Appartenuto prima ai Benedettini e poi agli Olivetani, ospita un’immagine miracolosa della Vergine di fronte alla quale sono esposti tantissimi ex voto in forma di tavolette votive, piccoli quadri che rappresentano i miracoli attuati dalla Madonna. Il giardino prospicente la bella facciata lombardesca della chiesa gotica, con i suoi alberi che regalano un’ombra preziosa, è un ottimo posto per sostare prima degli ultimi chilometri.
Superata la zona industriale, si abbandona la provinciale e si continua a camminare su una piccola strada che attraversa un’infinità di campi fra canali d’irrigazione, vigne e gli immancabili papaveri fino ad arrivare a Gazzolo, frazione di Arcole, dove si entra ufficialmente nella provincia di Verona. Un piccolo consiglio: nel piccolo abitato non c’è possibilità di cenare per cui cercate di trovare qualcosa da mangiare a Lonigo.

La sedicesima tappa
Da Gazzolo in una mezzora si arriva ad Arcole, dove s’incontrano le prime tracce di Napoleone; qui infatti ha sede un piccolo ma interessante museo a lui dedicato che raccoglie quadri, stampe d’epoca e documenti legati al passaggio dell’imperatore e a una famosa battaglia, quella dell’Alpone.
L’Alpone è un piccolo fiume che scorre appena fuori dal paese e qui, nei giorni dal 15 al 17 novembre del 1796, l’esercito francese inflisse una sconfitta pesantissima agli austriaci grazie all’astuzia e a una strategia militare fuori dal comune. Nei pressi del ponte che scavalca il fiume e fu teatro della battaglia, sorge un obelisco a ricordare quella vittoria; sulla pietra del monumento si stagliano una grossa N metallica e una corona.

Per arrivare alla fine della tappa situata a Mambrotta ci vogliono 26 chilometri e dall’obelisco parte la ciclabile che segnerà quasi tutto il percorso odierno. All’inizio è sterrata poi diventa asfaltata e continua a seguire l’Alpone attraverso la campagna silenziosa. Sui lati le vigne si alternano a pruneti coperti da lunghi teli neri e qualche albero di gelso sembra piantato apposta per regalare al viandante un po’ di energia extra. Non si attraversa nessun centro abitato pur lambendone alcuni per cui sarà utile fare scorta di acqua alla partenza. Quando si raggiunge l’Adige e si comincia a usarlo come direttrice, si è poco oltre la metà della tappa.
Il cammino continua in un ambiente rurale degno di nota e in una solitudine preziosa rotta solo dallo sporadico passaggio di qualche ciclista. Nessun albero viene in soccorso per regalare un po’ di ombra almeno fino al bivio per Zevio. Qui conviene fare una piccola deviazione e, attraversato l’Adige, andare in paese a trovare un po’ di refrigerio, acqua fresca ed eventualmente usufruire di un distributore automatico di latticini che vende delle ottime mozzarelle con cui fare un piccolo pasto.
Il municipio è situato nella bella Villa Sagramoso nota più comunemente come il castello. Sorta su un fortilizio usato per la difesa di Verona dalle incursioni germaniche, ha subito numerose trasformazioni nel corso dei secoli e un accurato restauro negli anni Ottanta e ora fa bella mostra di se circondata da un fossato in cui vivono indisturbate numerose tartarughe che ne dividono le acque con cigni e germani reali.
Lasciato il paese, si torna sulla ciclabile e si affrontano gli ultimi tre chilometri per arrivare a Mambrotta, un minuscolo paese immerso nella campagna. L’accoglienza è spartana ma offre una piccola piscina che, dopo una giornata calda e assolata, offre al viandante la possibilità di un meritato refrigerio e di un sano relax (portatevi il costume).
Per la cena bisogna aggiungere un paio di chilometri al computo totale, quelli per raggiungere un’osteria e tornare indietro. Non vi aspettate piatti elaborati, è un piccolo locale a gestione familiare, ma è ampiamente sufficiente a incamerare energie per la tappa del giorno dopo.
La diciassettesima tappa
Tappa relativamente breve quella che porta da Mambrotta a Verona, solo 20 chilometri che si svolgono lungo l’ormai affezionata ciclabile.

Il paesaggio non cambia, i campi coltivati e le lunghe file di frutteti coperti da teli la fanno da padrone insieme a tutta la vita agricola che si svolge in quest’ambiente. Ogni tanto un trattore all’opera rompe il silenzio con il rumore del suo motore, mentre più avanti i grandi idranti agricoli spargono acqua sulle coltivazioni giocando con il sole come degli acquarellisti e creando dei bellissimi arcobaleni.
Lentamente la ciclabile si avvicina al corso dell’Adige e comincia ad assecondarlo come un amante fedele, seguendo le anse, il suo continuo curvare. Non resta che lasciarsi trasportare.
Quando si arriva poco oltre la metà della tappa, ci troviamo di fronte all’ingresso del Bosco Buri, il grazioso parco attrezzato dell’omonima villa seicentesca.
Si estende per 13 ettari e ospita ben 1800 specie di piante dove nidificano felici numerosi uccelli. L’ombra che gli alberi elargiscono invita a fare qui la sosta per il pranzo e a trovare un po’ di refrigerio soprattutto per i piedi provati dal caldo e dai chilometri assolati della ciclabile.
Mancano poco più di otto chilometri alla città scaligera e, nonostante il percorso dopo il bosco torni a sprazzi assolato, si cammina bene. I lati della ciclabile sono costellati dalle consuete piante di gelso cariche di frutti che come già vi ho detto sono un ottimo integratore di sali minerali.

Verona si avvicina ma rimane ancora il tempo per perdere lo sguardo su un enorme campo di papaveri, un avvolgente mare rosso, capolavoro naturale dal cromatismo sfrenato. È anche per godere di paesaggi di questo tipo che si cammina, per apprezzare la maestria del più grande artista vivente, la natura.
Seguendo l’Adige si arriva fino in centro città e con il tempo a disposizione ci si può concedere una breve visita cominciando dall’Arco dei Gavi, situato a pochi passi dal famoso Ponte di Castelvecchio.
Deve il suo nome alla gens Gavia, un’antica famiglia romana di origine plebea e fu costruito per celebrarla alla metà del I secolo.
Nel 1805 fu demolito dal Genio Militare francese per cui non si trova più nella sua posizione originaria, ma fu ricostruito nel 1932 e sistemato nella piazzetta di Castelvecchio.

Sotto quest’arco si trova uno dei pochi tratti visibili della Via Postumia e credo di darvi un consiglio prezioso suggerendovi di sfilare scarpe e calzini e di appoggiare i piedi nudi su quei pochi metri di basolato, camminarci sopra per un po’ a costo di sembrare eccentrici o folli.
Le antiche vie romane trasmettono attraverso queste pietre i loro ricordi, il loro vissuto, energie e vibrazioni che solo chi ha la mente aperta può percepire e il viandante che passa le sue giornate camminando sicuramente ce l’ha spalancata. Mi era già successo di provare questa strana forma di euforia lungo la Via Francigena camminando sulla vecchia Cassia, nelle zone del viterbese e di Bolsena ma questa è un’altra storia che vi racconterò in altri articoli.
La diciottesima tappa

Uscire da Verona è particolarmente piacevole. Dopo aver attraversato il ponte scaligero, che nelle prime ore del mattino è praticamente sgombro, si scende a sinistra e si comincia a seguire nuovamente l’argine dell’Adige; lo si farà per quasi tutti i 27 chilometri che servono per arrivare a Pastrengo, fine tappa odierna.
Lentamente la città svanisce alle spalle e quando si arriva al Ponte Diga del Chievo, Verona è ormai un ricordo.
Questa affascinante opera di architettura industriale fu costruita fra il 1920 e il 1923 con lo scopo di elevare il livello dell’Adige per aumentarne l’immissione nel canale Camuzzoni che, realizzato a fine Ottocento, era fondamentale per l’alimentazione delle centrali idroelettriche e delle fabbriche della zona industriale a sud di Verona.
Le sue otto arcate, danneggiate dai tedeschi in fuga durante la seconda Guerra Mondiale e sapientemente ricostruite nel 1946, sorreggono una corsia ciclo pedonale molto frequentata. La via Postumia però tira dritto lungo l’alzaia dell’Adige fra una vegetazione lussureggiante che ogni tanto si apre per offrire begli scorci sul fiume.

Dopo qualche chilometro si arriva in frazione Nassar dove il viandante può poggiare i piedi su due splendidi ponticelli medievali che fanno da cornice a un vecchio mulino. La storia qui non ha niente a che vedere con i romani ma questo è comunque uno dei punti più suggestivi della tappa odierna ed anche un ottimo posto per una piccola sosta.
Si riparte e si continua a camminare lungo l’argine dell’Adige fino ad arrivare al bel borgo di Pescantina. Nella piazzetta centrale c’è la piccola chiesa di San Rocco, datata XV secolo, che sfoggia un portone molto bello su cui è scolpito un bordone, l’antico bastone usato dai pellegrini durante il loro viaggio, del resto San Rocco, come San Giacomo, è uno dei protettori di viandanti e pellegrini.
Una piccola sosta e, attraversato il ponte sul fiume, si sale verso l’abitato di Bussolengo. Qui la storia parla ancora di Napoleone, di spostamenti di truppe, francesi e austriache, insomma di guerre antiche anche se il paese fu bombardato durante la seconda guerra mondiale dagli americani il giorno di San Valentino, una brutta storia.
Oltrepassato il paese, ci s’immette sulla ciclabile dell’Adige che segue un canale che scorre a mezza costa seguendo il corso del fiume. Credo che per i ciclisti sia una bellissima via, almeno quanto lo è per il viandante. I filari di cipressi seguono costantemente la ciclo via e a ogni giro di costa, alcune scritte indicano i nomi delle piccole valli che si incontrano e il loro chilometraggio lungo la via.

Si prosegue così fino ad arrivare a un ponticello dove le frecce gialle della Postumia indicano di girare a sinistra e infilarsi nel bosco.
Il sentiero sale ripido su un acciottolato sconnesso che mette a dura prova equilibrio e stabilità: si tratta del vecchio sentiero che un tempo si usava per salire su al santuario di Pastrengo.
Ci vogliono pochi minuti per arrivare in cima ma sono intensi almeno quanto l’ardita carica dei Carabinieri Reali che il 30 aprile del 1848 stravolsero l’esito di una battaglia che sembrava destinata a essere persa e che invece si concluse con un eroico successo per l’esercito sabaudo.
Di storico, a parte le chiese, rimane poco ma siamo pur sempre in una terra dedicata alla viticoltura; qui si producono in prevalenza due eccellenze dell’enologia italiana, il Bardolino e il Bianco di Custoza e i filari di vite che seguono le colline offrono uno spettacolo per gli occhi e, volendo, anche per il palato.
Mancano ormai poche centinaia di metri all’accoglienza e il cammino si avvicina sempre di più al confine con la Lombardia e alla fine di quest’articolo.
La diciannovesima tappa
Ultima tappa in terra veneta per la Via Postumia con arrivo dopo 25 chilometri a Monzambano, in Lombardia.
Si comincia camminando in discesa e dopo aver oltrepassato l’autostrada su un cavalcavia, si comincia a zigzagare fra i tanti vigneti che decorano il paesaggio con i lori ordinati filari impreziositi dalle rose che li sorvegliano. Seguendo le frecce gialle dipinte sui pali di cemento o sugli alberi, ci si muove in un ambiente bucolico, dove tutto parla di vino, a partire dalle botti appese fuori dalle numerose aziende che si incontrano lungo la strada.
Si percorre un altro cavalcavia per attraversare una strada regionale e si prosegue per qualche chilometro senza variazioni di paesaggio fino ad arrivare al delizioso borgo di Colà, adagiato su un colle e circondato da un verdeggiante paesaggio collinare. Le piccole strade si muovono fra case con i caratteristici muri in ciottolo e i balconi carichi di fiori coloratissimi; c’è il silenzio tipico dei piccoli paesi e fermarsi per una piccola sosta è quasi inevitabile.
Il Lago di Garda ormai è vicino, poco più di due chilometri; si sale per un po’ poi inizia la lunga discesa verso le sue rive.
Il silenzio di queste magiche colline è lentamente surclassato dal crescere costante di urla, risa e schiamazzi, musica a tutto volume e voci amplificate che incitano al divertimento sfrenato. Siamo a Gardaland e girarci attorno è sicuramente il momento più brutto della tappa. Dura poco, più il lago si avvicina e più il parco divertimenti rimane alle spalle e quando alla fine si fronteggia la grande distesa d’acqua circondata dalle colline, si ritrovano la pace e l’armonia.

Si cammina per un po’ lungo la riva sotto lo sguardo attento dei cigni e s’incontrano passerelle di legno che si allungano sull’acqua e piccoli alberi piegati negli anni dalla forza del vento.
Il porticciolo di Peschiera sul Garda è un buon posto per fermarsi e mangiare qualcosa, ci sono delle comode panchine affacciate sul lago che fanno al caso di un viandante stanco.
Si riparte attraversando il bel borgo fortificato costruito lì dove il Garda si trasforma nel fiume Mincio, suo unico emissario. La cittadina fu oggetto di un assedio lungo dodici giorni che si concluse il 30 maggio 1848 e segnò una grave sconfitta per gli austriaci nella Prima Guerra d’Indipendenza. Le sue fortificazioni così come il suo fossato, fanno ancora bella mostra di sé e fare una breve passeggiata all’interno è un regalo da farsi assolutamente.
Si esce dal paese per piccole strade poi si prende un sentiero ciclopedonale che porta al bel Santuario della Madonna del Frassino, meta di pellegrinaggio in virtù di una piccola statua della Madonna con bambino apparsa miracolosamente l’11 maggio del 1510 fra i rami di un albero, un frassino appunto: merita una visita.

Uscendo dalla frazione di Broglie si attraversa ufficialmente il confine regionale e si entra nella provincia di Mantova; si torna a camminare fra i vigneti attraverso strade bianche puntando dritti verso Ponti sul Mincio.
Con le sue case colorate, il Castello Scaligero che torreggia sul paese, e le circostanti colline moreniche del Garda, il borgo è un piccolo luogo affascinante e ricco di storia e vale la pena sostare un po’.
A Monzambano mancano ormai pochi chilometri, tutti da percorrere su strade bianche che attraversano una campagna di rara bellezza. La Via fa il suo ingresso nel borgo proprio ai piedi del castello che è arroccato su un piccolo colle.
Una volta oltrepassato il vecchio portone si arriva su quella che un tempo era la piazza d’armi e che ora, con il passare dei secoli, è diventata un’affascinante piccola piazza su cui si affacciano delle case.
L’antico maniero, uno dei tanti del sistema difensivo veronese a est, ha mantenuto l’assetto generale e le mura sono integre e ben conservate.
Da domani si comincerà il lungo tratto che alternerà Lombardia ed Emilia, ma per questo dovrete aspettare i prossimi articoli.
Scopri tutte le tappe della Via Postumia
Continua il viaggio e scopri tutte le tappe:
La Via Postumia: Friuli Venezia Giulia
La Via Postumia: da Latisana a Treviso
La Via Postumia: da Treviso a Brendola
La Via Postumia: da Monzambano a Cremona
La Via Postumia: da Cremona a Voghera
La Via Postumia: da Voghera a Genova
Tutte le foto che vedi in questo articolo sono di Andrea Vismara: se vuoi utilizzarle, ricordati di menzionarlo e taggare managaia.eco. Grazie!

Nasce a Roma l’11 ottobre 1965. DJ, musicista, fotografo, e appassionato di cucina. Ha pubblicato i romanzi Iddu – Dieci vite per il dio del fuoco (2014) e Bisesto (2018) per i tipi di Edizioni Spartaco. Da sempre accanito camminatore, pubblica per i tipi di Edizioni dei Cammini La mia Francigena (2016), I giorni di Postumia (2017) e la trilogia del Ricettario Pellegrino, diventando direttore editoriale ed editor della casa editrice. Nel 2020 ha dato vita al progetto artistico Rebois che unisce legno recuperato dal mare e vetro riciclato. Vive e lavora a Venezia.