La Via Postumia è un’antica via romana pensata per unire i porti di Aquileia e Genova. Attraversa diverse regioni e paesaggi e il tratto veneto è particolarmente lungo e articolato: nell’ultimo articolo, che puoi leggere qui, ci siamo fermati a Treviso.
Proseguiamo ora il nostro Cammino lungo la Via Postumia e scopriamo le altre tappe venete.
La decima tappa
Se entrare a Treviso è paradisiaco, uscirne è quasi infernale. Si segue prima la ferrovia poi alcune strade trafficate ma quando si giunge al ponte che attraversa il Sile il peggio è passato. Le ultime propaggini periferiche della città rimangono via via alle spalle e si torna a camminare serenamente.

Sono solo 20 i chilometri che separano il punto di partenza della tappa dal suo arrivo nel minuscolo borgo di Badoere e i primi 10 cavalcano un drittone infinito, una specie di corda tesa che attraversa la campagna. Si tratta di un segmento dell’antica linea ferroviaria Treviso – Ostiglia (un paese nel mantovano) ora riadattata a ciclabile.
Finita di costruire nel 1941 per scopi meramente militari ebbe vita breve: nel 1944, infatti, gli alleati la bombardarono a più riprese e in più tratti per impedire lo spostamento di armi e truppe. Definitivamente smantellata alla fine degli anni Novanta, è stata poi oggetto di un progetto di riqualificazione e trasformata in questa bellissima linea verde. A percorrerla ora sono ciclisti, runner, gente a spasso con il cane e, perché no, viandanti.
La fitta vegetazione che fiancheggia la vecchia strada ferrata, e spesso ne ricopre il corso, rende questo tratto particolarmente suggestivo, come se si camminasse in un lunghissimo tubo smeraldino. I passi scorrono felici fino ad arrivare nei pressi dell’Oasi naturalistica di Cervara, un’area palustre, una delle ultime del fiume Sile, compagno silenzioso e nascosto di questa tappa.

Il trecentesco mulino ottimamente conservato è il punto di ingresso dell’Oasi che, vista anche la brevità della tappa, merita decisamente una visita. Numerose sono le specie di uccelli acquatici che vivono indisturbati nella quiete di questo luogo prezioso, ma la vera sorpresa è la presenza copiosa di gufi, non fra i più facili da osservare vista la loro abitudine a uscire quando gli altri vanno a dormire. Nelle tranquille acque ricche di risorgive (i Fontanassi in dialetto trevigiano) nuotano numerosi pesci e fa la sua comparsa anche il Bufo Bufo, meglio noto come rospo comune. Sinceratevi degli orari di visita sul sito dell’Oasi per non perdere questa bellissima esperienza.
Si prosegue lungo la ciclabile per abbandonarla circa quattro chilometri dopo; è solo un arrivederci, nelle tappe successive, infatti, ci s’immergerà nuovamente nel tunnel verde per altri chilometri.
La fine della tappa è ormai vicina e dopo una svolta a destra e una strada che attraversa un breve tratto di campagna, si gira a sinistra e si entra nell’abitato di Badoere.

La Barchessa, meglio nota come la Rotonda, è una struttura del settecento attorno alla quale si è sviluppato nel corso del tempo tutto il paese.
Con il termine barchessa s’indica un edificio rurale di servizio, tipico delle ville venete, dove si trovavano i vari ambienti di lavoro. Si tratta di una struttura porticata con arcate alte sotto la quale si trovano vari ambienti adibiti a stalle, rimesse per gli attrezzi e magazzini vari.
Quella di Badoere in realtà fu costruita distaccata dalla villa dei signori Badoer, pensata come spazio pubblico per ospitare il mercato. Il semicerchio di ponente, costruito con gran senso estetico, ospitava le botteghe degli artigiani mentre quello di levante, più spartano, ospitava il mercato vero e proprio.
L’intero complesso è ricco di fascino e riporta indietro di secoli chi lo osserva. Ora le botteghe ospitano negozi di vario tipo e anche un’ottima gelateria che vi consiglio di visitare all’arrivo per rinfrescare corpo e spirito.
L’undicesima tappa
Anche questa tappa è breve, 20 chilometri per raggiungere Castelfranco Veneto da Badoere.
Uscire molto presto la mattina è una prerogativa dei viandanti; godere della Rotonda immersa nel silenzio e con la strada che la attraversa priva di macchine è un ottimo viatico per i chilometri a venire.
Si aggira la barchessa di ponente, le si cammina affianco e dopo aver attraversato un breve tratto in campagna ci si immette nuovamente nel GiraSile.

A lato della ciclabile il fiume scorre lento, così lento da sembrare immobile. I cigni nuotano sereni e indisturbati sulle sue acque e tutto attorno è un tripudio di alberi da cellulosa e piantagioni di colza: in queste tappe il giallo e il verde sono i colori dominanti.
Dopo aver attraversato il Sile su un ponticello di legno, si arriva alla prima sorpresa giornaliera, il Bosco dei Fontanassi, un’oasi naturalistica molto affascinante, una via di mezzo fra una foresta e una palude, un luogo che odora di torba e dove rettili e anfibi, insieme agli inevitabili uccelli acquatici, la fanno da padrone. L’ombra regna sovrana rotta solo da pochi raggi del sole che s’infilano fra l’intrico degli alberi rendendo il paesaggio ancora più spettacolare e concedersi una sosta qui è praticamente inevitabile.

Usciti dal bosco, si cammina per una mezz’ora su una stradina asfaltata e si arriva subito alla Porta dell’Acqua, il punto dove nasce il Sile. Non vi aspettate di trovare una sorgente perché non ce n’è una: questo è un fiume di risorgiva e l’acqua esce dal terreno.
Fenomeno curioso quello delle risorgive: l’acqua piovana è raccolta dal terreno che funziona come una spugna e la spinge nel sottosuolo da cui poi risorge formando delle polle.
Il parco della Porta dell’Acqua offre un percorso di visita molto interessante fatto di sentieri, ponticelli di legno e punti di osservazione a forma di barca che si protendono sull’acqua: osservare le piccole bollicine salire dal fondo e risalire in superfice è quasi ipnotizzante e si fa fatica ad andar via.

Per arrivare a Castelfranco Veneto si percorre l’ultimo tratto del GiraSile e poco prima di arrivare alla frazione di San Marco ci s’imbatte in un’altra delle severe sentinelle del cammino: si tratta di un tronco di un albero probabilmente colpito da un fulmine che innalza il suo tronco bruciato verso il cielo.
Pochi chilometri ancora e si giunge sotto le mura del prezioso borgo. Le mura del borgo furono costruite su un terrapieno naturale alla fine del 1100 per proteggere il confine che divideva il comune di Treviso da quelli rivali di Padova e Vicenza. Fu quindi deviato il corso del fiume Muson per riempire il fossato che le circondava. È buffo che non furono inviati soldati a viverci ma cittadini normali, esentati però da qualsiasi tipo di tassa o onere, il che spiega il nome Castelfranco.
Qui nacque Giorgione. Essendo stata la tappa veloce, utilizzate il tempo a disposizione per visitare il borgo e soprattutto il Duomo; in una cappella troverete la celebre Pala di Castelfranco, meravigliosa opera del pittore, l’unica pala d’altare che abbia mai dipinto.


La dodicesima tappa
Quando si esce dalla porta nord di Castelfranco Veneto, in teoria si hanno davanti 23 chilometri di cammino per arrivare a Facca, piccola frazione di Cittadella, ma il conteggio potrebbe aumentare leggermente, e più avanti saprete il perché.
Il percorso odierno inizia attraversando la periferia fuori dalle mura fino ad arrivare a una rotonda e poco dopo, girando a destra, attraversa il piccolo fiume Muson dei Sassi immettendosi nel Sentiero degli Ezzelini fino ad arrivare a Castello di Godego.
I da Romano, meglio noti come Ezzelini, furono una nobile famiglia medievale di origine germanica che spadroneggiò in buona parte del Veneto fra il XII e il XIII secolo per poi decadere dopo la morte del loro esponente più illustre e potente, Ezzelino III.
Il sentiero è l’ennesimo tubo verde che attraversa queste zone e camminarci dentro è un vero piacere. Segue fedelmente il corso del torrente per alcuni chilometri regalando un bel paesaggio e tanta ombra che non fa mai male. Una volta passati davanti all’ingresso della bella Villa Caprera, residenza nobiliare costruita nel XVIII secolo, si arriva nell’abitato di Castello di Godego.

Costruito su un insediamento romano di cui rimangono parecchi reperti, il piccolo borgo non ha più traccia del vecchio castello che fu raso al suolo dai padovani nel 1179 e non offre particolari attrattive ma può essere un buon posto per una sosta.
Si prosegue camminando fra drittoni e zig zag in una campagna affascinante con le stradine accompagnate da un tripudio di papaveri e da piccoli tabernacoli dedicati alla Vergine o a Sant’Antonio da Padova. Quando si arriva a Galliera Veneta abbiamo abbandonato la provincia di Treviso e siamo entrati in terra padovana.
All’interno del paese fa bella mostra di sé la Villa Cappello, detta l’Imperiale, per via del fatto che nel 1858 fu acquistata dall’Imperatrice Maria Anna di Savoia, moglie di Ferdinando I d’Austria.
Adibita un tempo a casa di cura per i malati di tubercolosi, oggi ospita la biblioteca comunale e una casa di riposo privata ma il bel parco che la circonda è visitabile e può essere il posto giusto per mangiare qualcosa.
A Cittadella mancano circa tre chilometri ed è lei il piatto forte del giorno.

La sua storia è straordinariamente simile a quella di Castelfranco perché fu costruita nel 1220 come roccaforte per difendere i confini territoriali, quelli padovani in questo caso. Le sue origini tuttavia risalgono al periodo dei romani in virtù del passaggio della Via Postumia poco più a nord.
Le sue possenti e alte mura, restaurate di recente, sono un vero e proprio gioiello dell’architettura e vale la pena salire tutti gli scalini, arrivare su in cima e percorrere tutto il giro di guardia, quel chilometro e mezzo in più di cui vi parlavo da aggiungere al computo finale.
Oltre al colpo d’occhio sul borgo sottostante, la vista spazia libera su tutta la pianura veneta e non solo; affacciandosi dal lato nord si possono vedere distintamente le colline prospicenti l’Altopiano dei Sette Comuni e poco oltre il massiccio del Monte Grappa.

Certo, non è tutto oro ciò che luccica: il piccolo borgo, prezioso e affascinante, è attraversato da due strade che s’incrociano al centro e sono trafficate come quelle di una grande città. Personalmente non amo le macchine, non ho mai preso la patente e credo che pedonalizzare l’interno delle mura renderebbe la visita molto più piacevole.
Mancano tre chilometri per arrivare alla piccola frazione di Facca, fine della tappa odierna. Sono tutti su un drittone d’asfalto, non proprio piacevole ma durano poco e portano a una delle accoglienze più belle dell’intera Via Postumia.
L’ospitalità del B&B La Bicicletta va ben oltre una camera bella e pulita e una colazione buona e abbondante: è il piacere di cenare in famiglia, di chiacchierare di arte e ciclismo senza soluzione di continuità, insomma di sentirsi a casa.
La tredicesima tappa
Facca e Quinto Vicentino sono divise da ben 34 chilometri, una tappa lunga e impegnativa ma con un compagno di viaggio prezioso, il fiume Brenta o per meglio dire, la Brenta.
Solo due parole su questo fiume che ha una storia importante. I Romani lo chiamavano Medoacus perché nasceva, e nasce tuttora, da due laghi, quello di Levico e quello di Caldonazzo, in Trentino. È un fiume che ha cambiato spesso il suo corso, almeno nella parte terminale, per via delle numerose piene straordinarie, le famose Brentane, prima fra tutte quella del 589 quando, complice il Piave, lo stravolgimento fu tale da cambiare completamente l’assetto idro-geografico della zona e creando, di fatto, la laguna di Venezia.
S’inizia camminando su asfalto, dapprima trafficato ma poi, dopo una svolta a destra, molto più tranquillo e silenzioso. I campi coltivati si susseguono uno via l’altro e quando si arriva nella frazione di Lobia, un piccolo canale comincia ad accompagnare i passi del viandante e gli tiene compagnia per un bel pezzo, fino ad arrivare alle porte del paese di Campo San Martino.

È qui che lo scenario si apre maestoso e la Brenta si rivela in tutta la sua bellezza. Dapprima si costeggia per un paio di chilometri poi si arriva davanti a una stretta ansa del fiume, dove una sorta di penisola piena di alberi si riflette nell’acqua quasi immobile, un’inquadratura naturale di rara bellezza.
Si continua a percorrere l’argine alberato fino a raggiungere un ponte che attraversa il fiume e su cui il viandante può camminare in tutta sicurezza grazie a una larga passerella ciclo pedonale.
Dieci chilometri sono già alle spalle e il cammino prosegue attraverso l’abitato di Piazzola sul Brenta, sede di una delle più belle ville palladiane, Villa Contarini per poi abbandonarlo e andare ad abbracciare nuovamente la Treviso – Ostiglia, amica ciclabile.
Alta sulla sua massicciata e affiancata dagli inevitabili alberi, rende i passi leggeri e i chilometri impalpabili almeno fino a quando la vegetazione inizia a scomparire e il sole prende il sopravvento. Dopo qualche chilometro si arriva a un vecchio ponte di ferro dove un tempo passavano i treni. È qui che si dice addio a questa bella via green e si gira a destra seguendo l’argine di un canale che scorre sinuoso fra i campi abbellito da qualche albero isolato, un mare di papaveri rossi e qualche spaventapasseri triste.
Dopo quasi quattro chilometri si arriva a Camisano Vicentino che è un buon posto per fare una pausa, mangiare qualcosa e riempire la borraccia. Alla fine della tappa mancano ancora nove chilometri e bisogna integrare un po’ di energie e riposare un po’.


Attraversato il paese si comincia a camminare su una ciclabile che segue fedelmente uno dei tanti canali d’irrigazione della zona, attraversa l’abitato di Rampazzo e all’affascinante frazione di Grantortino con i suoi grossi casali e il salvifico Spaccio del latte dove ci si può concedere un’ultima sosta prima dei quattro chilometri finali ed eventualmente comprare vettovaglie per il pranzo del giorno successivo: l’accoglienza è infatti a un chilometro dal paese di Quinto Vicentino e generalmente quando si inizia a camminare i negozi sono ancora chiusi.
La fatica si fa sentire e la strada che manca, seppur immersa in campi bellissimi, sembra non finire mai. Si va avanti con continue svolte a destra e sinistra assecondando i campi e le gambe vanno avanti per inerzia ma alla fine si arriva in un bell’agriturismo convenzionato dove il viandante è accolto con cura e simpatia e la colazione è una di quelle da ricordare.
La quattordicesima tappa
Ci vuole un chilometro per arrivare nel paese di Quinto Vicentino e altri 29 per arrivare a Brendola affrontando le prime asperità del Cammino.

Si parte muovendosi lungo l’argine serpentiforme dell’ennesimo fiume, in questo caso del Tesina, e lo si segue per circa tre chilometri fino ad arrivare all’abitato di Marola.
Qui si abbandona lo sterrato per affrontare un lungo tratto di asfalto che porta fino alle porte di Vicenza anche se né la città palladiana né la sua periferia vengono realmente attraversate; si rimane ai margini lontani dal traffico e dal rumore di una grande città.
La prima vera meta è il Santuario della Madonna di Monte Berico, un’erta montagnola che domina Vicenza, e che è luogo di devozione e di pellegrinaggio per tantissimi fedeli. Per arrivarci si percorre un lunghissimo porticato diviso in due rampe che regala una prospettiva portentosa anche grazie ai giochi di luce creati dal sole e dalle colonne.

La sua storia è lunga ma ve ne voglio dare un breve sunto.
La chiesa originaria era poco più di una stanza, piccola, costruita in appena tre mesi. Erano i primi del 1400 e la peste aveva appena iniziato a mietere le sue vittime. Una contadina chiamata Vincenza Pasini giurò di aver visto la Madonna e di averci parlato più volte; le aveva detto che se avessero costruito una chiesa a lei dedicata in cima al monte, il morbo sarebbe sparito e così fu. A quel punto, il comune come atto di ringraziamento decise di costruirne una più grande nello stile gotico dell’epoca che si rivelò comunque troppo piccola per il numero di pellegrini che avevano cominciato ad arrivare per rendere omaggio. A metà del 1500 ampliarono ulteriormente la struttura anche con la collaborazione del Palladio. Nel 1600 però la peste tornò a falcidiare la popolazione e allora, a morbo scomparso, ampliarono ulteriormente la chiesa fino a darle la forma attuale.

Tutto ciò che rimane della chiesetta originaria è un altare che custodisce un’icona in argento della Madonna; per vederlo bisogna passare dietro l’odierna abside e mettersi in fila per arrivare a sfiorare l’immagine con la mano.
La vista sulla città dal piazzale antistante al Santuario è notevole, soprattutto per chi, come me, ha qui una parte delle sue radici.
La strada scende e raggiunge il fondovalle prima con una bella strada alberata e poi con uno sterrato ombroso che sbuca nei pressi dell’autostrada. Ci si passa sotto e poco dopo si raggiunge l’abbazia di Sant’Agostino con il suo bel chiostro, dove regna un’ombra accogliente; è il luogo perfetto per togliere lo zaino, le scarpe, mangiare e riposare un po’.
Si riparte su una strada di campagna che costeggia per un paio di chilometri un bosco e poi decide di entrarci dentro. È qui che inizia la prima vera e propria salita del Cammino ed è una di quelle toste. Breve ma ripida, taglia fiato e gambe e conduce fino al borgo di Valmarana da cui si gode una bella vista sul panorama circostante e nel quale concedersi una meritata sosta.
Da lì si continua a salire nel bosco, più dolcemente, all’ombra e confortati dai numerosi alberi di gelso pronti per essere depredati dei loro gustosissimi frutti insieme a quelli del brombolo che sono piccole prugne tonde e asprigne come una mela verde.
È un privilegio del viandante nutrirsi di ciò che la natura offre spontaneamente, lo è sempre stato e credo che sia una delle parti più belle di un Cammino, una cosa che fa sentire in armonia con i luoghi che si attraversano, un vero e proprio dono.

Il percorso continua per alcuni chilometri nel fitto bosco passando alle pendici di un colle dove si staglia il torrione di un castello. Da lì comincia la breve discesa che porta nella piazza di Brendola dove fa bella mostra di sé la chiesa di San Michele Arcangelo con la sua bella facciata che presenta un motivo di losanghe rosse ripetute su uno sfondo giallo.
Da qui si scende ancora, poco più di un chilometro e si arriva alla Pergola, un’accoglienza convenzionata, un’altra di quelle con la A maiuscola. Cenare e addormentarsi nel silenzio di un paesaggio bellissimo non ha prezzo.
Scopri tutte le tappe della Via Postumia
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La Via Postumia: Friuli Venezia Giulia
La Via Postumia: da Latisana a Treviso
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La Via Postumia: da Cremona a Voghera
La Via Postumia: da Voghera a Genova
Tutte le foto che vedi in questo articolo sono di Andrea Vismara: se vuoi utilizzarle, ricordati di menzionarlo e taggare managaia.eco. Grazie!

Nasce a Roma l’11 ottobre 1965. DJ, musicista, fotografo, e appassionato di cucina. Ha pubblicato i romanzi Iddu – Dieci vite per il dio del fuoco (2014) e Bisesto (2018) per i tipi di Edizioni Spartaco. Da sempre accanito camminatore, pubblica per i tipi di Edizioni dei Cammini La mia Francigena (2016), I giorni di Postumia (2017) e la trilogia del Ricettario Pellegrino, diventando direttore editoriale ed editor della casa editrice. Nel 2020 ha dato vita al progetto artistico Rebois che unisce legno recuperato dal mare e vetro riciclato. Vive e lavora a Venezia.