Lentamente il cammino si sposta verso la sua fine e contemporaneamente verso le sue tappe più impegnative, quelle di montagna. Si abbandona definitivamente la Pianura Padana poco dopo Piacenza e da lì ci si sposta attraverso un paesaggio collinare di rara bellezza verso il confine con il Piemonte. Tante le cose da vedere e tanta strada ancora da fare ma andiamo con ordine (intanto, se te lo sei perso, leggi qui il capitolo precedente).
La ventisettesima tappa: da Cremona a Fossadello
Uscire da Cremona è semplice perché la città è piccola; attraversata una periferia minima, ci si unisce nuovamente al Po e si segue il suo corso per circa un chilometro per poi attraversarlo lasciando alle spalle la Lombardia per entrare in Emilia.
Si comincia a camminare su strade sterrate, argini e tratti della fedele ciclabile lambendo le parti basse delle anse del grande fiume. In una di queste, lungo la via, si incontrano dei graziosi capanni di pescatori ristrutturati e pronti a ospitare pranzi di famiglia all’aria aperta. Alcuni hanno le pareti dipinte in colori sgargianti, uno mostra un vecchio pneumatico con la scritta salsicce roventi e ce ne è addirittura uno che nel giardino ospita una copia del Discobolo di Milone.

Tutto intorno è solo campagna, silenzio e panorami aperti costellati qua e là da alcuni tabernacoli dedicati alla Madonna del Fiume, una devozione assai sentita lungo tutto il corso del Po.
Sono 28 i chilometri che separano Cremona da Fossadello, una tappa lunga quindi, che può rivelarsi molto faticosa se le temperature sono alte e il sole picchia duro anche perché i centri abitati sono una vera rarità.
Quando si arriva nel piccolo paese di Monticelli d’Ongina è quindi d’obbligo fare una sosta e approfittare per riempire la borraccia e in caso comprare un po’ di frutta o, in caso non abbiate provveduto a Cremona, il pranzo.
Il borgo ospita il castello Pallavicino Casali, meglio noto come la Rocca che fu costruito nel XV secolo e che ora ospita il Museo etnografico del Po.

Abbandonato il paese, si prosegue camminando lungo il fiume fra argini e ciclabili e, dopo aver sfiorato il borgo di San Nazzaro si passa poco lontano dalla centrale nucleare di Caorso, fortunatamente inattiva. La sua torre a forma circolare è ben nascosta da una macchia di alberi ma ancora visibile, una sorta di monito ad abbandonare la pericolosità di questo tipo di energia e a dirigersi senza alcun dubbio verso energie rinnovabili e pulite.
Si continua a camminare fino a raggiungere un tratto alberato che regala ombra preziosa ai viandanti e il ponticello che attraversa il torrente Chiavenna.
Il luogo è ombroso e pur non essendoci panchine è comunque un ottimo luogo dove fermarsi, sedersi sul prato e mangiare.
Si riparte e dopo poco più di un chilometro si attraversa il piccolo borgo di Zerbio pere poi proseguire per cinque chilometri in aperta campagna fino a ricongiungersi al Po.
L’abitato di Roncarolo è veramente poca cosa ma c’è uno splendido gazebo coperto con tanto di tavolo, panche e una fontanella che regala acqua fredda agli assetati e a chi abbia voglia di rinfrescarsi: è doveroso fare qui un’ultima sosta prima dei tre chilometri che separano il viandante dalla fine della tappa.

Si continua lungo la ciclabile, elemosinando briciole d’ombra dai pochissimi alberi che vigilano questo tratto del Cammino poi, arrivati in prossimità del piccolo cimitero di Fossadello, si prende il viottolo che porta all’accoglienza.
L’agriturismo, bellissimo e accogliente, non è proprio economico ma offre una cena di tutto rispetto che, dopo le fatiche del giorno, è un vero toccasana: si sa, lo gnocco fritto accompagnato da un bel piatto di salumi è la panacea universale.
La ventottesima tappa: da Fossadello a Piacenza
Per arrivare a Piacenza ci sono solo 18 chilometri ma come ho già detto il chilometraggio è un dato relativo.
Dopo una colazione ricca e gustosa si ricomincia a camminare. Si attraversa subito l’autostrada grazie a un cavalcavia poi si guadagna nuovamente la ciclabile e si prosegue. Dura poco: un grosso albero di ciliegie gravido di frutti maturi si sporge da un campo e resistergli è veramente dura. Io ho trovato un contadino che, già al lavoro da almeno un paio d’ore, mi ha dato il suo benestare e fare incetta di queste perle color rubino è stato praticamente inevitabile.
Fra argini e sterrate si segue l’inossidabile ciclo-via del Po, il cui asfalto può raggiungere temperature da altoforno e creare effetti tipo miraggio all’orizzonte. Quando si arriva nei pressi di Mortizza, s’incontra una minuscola cappella con dentro un bellissimo quadro della Madonna e un grosso rosario di legno; è uno di quei luoghi di devozione persi nel nulla che hanno un sapore unico e permettono anche a un ateo convinto di provare un momento di profonda spiritualità e di lasciare che una preghiera pronunciata a bassa voce rimanga sospesa fra quelle quattro mura.

Il minuscolo abitato di Mortizza è dotato di un bar con un bel giardino ed è un ottimo luogo dove fare una sosta e bere qualcosa di fresco.
Non manca molto alla meta, circa otto chilometri, ma, come dico spesso, entrare in una città non è mai semplice e Piacenza non fa eccezione. La ciclabile passa vicino alla zona industriale e dopo una mattina in mezzo ai campi e alla natura, respirare aria puzzolente di smog non è un bel momento.
Poco dopo si abbandona il Po, si scavalca nuovamente l’autostrada e si entra in città.
Fondata dai Romani nel 218 a.C. con il nome di Placentia, è fiorita come città commerciale lungo la Via Emilia ed è successivamente passata attraverso varie dominazioni fino al 1848, anno in cui si è guadagnata il titolo di Primogenita d’Italia perché fu la prima città a chiedere l’annessione al regno di Sardegna.
Merita sicuramente una visita: le sue piazze, gli affascinanti cortili delle case storiche, le sue tante chiese e il Palazzo del comune sono un vero e proprio tesoro da scoprire, anche con poche ore a disposizione.
L’ostello è un po’ defilato ma molto accogliente, un ottimo posto dove dormire a prezzo pellegrino.
La cena però deve essere giusta: c’è solo un posto in questa città dove un viandante può andare, ovverosia “Da Vittorio”.
Questa semplice trattoria è il regno indiscusso dei tre etti di pasta, qualunque sia il sugo che fa per voi, quindi non ci andate se siete spiluccatori, digiunisti o raffinati minimalisti del cibo. Qui si mangia bene e abbondante, fine della storia.
La ventinovesima tappa: da Piacenza ad Albareto
I 30 chilometri che si percorrono per arrivare a fine tappa partono in sordina, attraversando le strade della periferia di Piacenza ancora addormentata e lasciandosi la città alle spalle per imboccare una ciclabile che corre di fianco a una strada trafficata. È un lungo drittone di oltre 4 chilometri che raggiunge il fiume Trebbia e lo scavalca grazie ad una passerella piena di graffiti costruita sotto il ponte.

Attraversato il fiume, la ciclabile si accompagna ancora alla strada per qualche decina di metri fra rigogliosi cespugli di ginestra il cui colore giallo sgargiante e il cui tipico profumo è in grado di sopraffare il viandante.
I percorsi si separano poco dopo: la strada tira dritta lungo la pianura mentre la via scende, con un paio di lunghe curve, sul lungofiume cominciando a seguirne il corso.

Siamo nel Parco Regionale Fluviale del Trebbia, un’area che tutela trenta chilometri del corso di questo fiume; ben organizzato con pannelli illustrativi, tanti sentieri e aree sosta può essere un buon punto per fare la prima sosta del giorno e liberare un po’ i piedi dal giogo degli scarponi.
Si prosegue sempre in piano, gli occhi che vanno sempre a guardare il greto del fiume dove qualche uccello migratore si ristora prima di intraprendere nuovamente il suo viaggio, sicuramente più lungo di questo.
A un certo punto si gira a destra, si abbandona il Trebbia al suo corso e ci s’immerge nuovamente nella campagna, circondati da coltivazioni, idranti che come al solito creano arcobaleni bellissimi e qualche nutria di passaggio.
Quando si arriva al paesino di Gragnano Trebbiense si è appena ad un quarto della tappa e vale la pena fermarsi per riempire la borraccia o integrare la colazione, insomma, incamerare energie fresche: davanti a noi la strada è ancora lunga e il caldo può regnare sovrano.

Un altro drittone di tre chilometri poi si svolta a destra e si continua a camminare attraversando mini paesi dai nomi bizzarri tipo Campremoldo Sopra. Il fatto è che siamo nella pianura più piatta e si fa difficoltà a immaginare dove possa essere Compremoldo Sotto.
Arrivati nel borgo di Mottazziana si incontra un bar e reintegrare liquidi diventa fondamentale prima di gettarsi nuovamente nella campagna assolata. Attorno ci sono solo campi di pomodori, di mais e di cipolle, qualche fattoria isolata e poco altro.
Il silenzio regna sovrano e insieme alla solitudine crea, almeno per il sottoscritto, il giusto connubio per perdersi nei propri pensieri e lasciarsi andare a un po’ di sana introspezione.
Quando si arriva nel paesino di Bilegno, nel parchetto ombroso di fianco alla chiesa, s’incontra un ciliegio in grado di offrire i suoi frutti maturi a chi ne abbia necessità.
Per raggiungere l’abitato di Castelnuovo bisogna percorrere ancora quattro chilometri, poi tutto cambia: ci si lascia la pianura alle spalle e si comincia a salire.
La strada va su dritta e impietosa, e il primo strappo, breve ma intenso, si fa sentire dopo giorni di altimetria pari a zero.

Ci vogliono pochi minuti prima che la salita spiani leggermente e il paesaggio si apra mostrando la bellezza dei vigneti dei colli piacentini che si rincorrono a perdita d’occhio. È un panorama quasi commovente, uno stacco di veduta che segna un vero e proprio spartiacque fra ciò che è stato e quel che sarà nei prossimi giorni.
Gli ultimi chilometri che portano ad Albareto sono in leggera salita ma il fatto di essere vicini alla meta può far si che si tirino fuori energie inaspettate.
L’accoglienza è di quelle difficili da dimenticare: le suore laiche che gestiscono “La Vite e i Tralci”, una cascina dove si possono fare ritiri spirituali, mettono a disposizione una foresteria e la loro gentilezza per accogliere degnamente il viandante.

La trentesima tappa: da Albareto a Monteguzzo
Questa è una tappa dura. Non sono tanto i 25 chilometri da fare a renderla tale, ma le continue salite e discese fra vigne e crinali che rendono il percorso una specie di ottovolante infernale.
L’unico antidoto a tanto sforzo è il paesaggio, sempre incredibilmente suggestivo, con le colline che ricordano le onde del mare, un mare verde di vigne e bruno di terra.
Dal piccolo borgo di Albareto si scende rapidamente attraverso le argillose stradine che attraversano i filari, interrotti solo dalla presenza di qualche albero isolato e con la compagnia di qualche leprotto che saltella tutt’intorno. Le prime luci dell’alba rendono il paesaggio ancora più poetico colorando cielo e terra di tenui colori pastello.

Quando si arriva a Ziano Piacentino, il primo giro di ottovolante è finito; il locale bar è un buon posto dove reintegrare la colazione e ricaricare la borraccia in vista del secondo giro che comincia subito alternando salite e discese senza soluzione di continuità.
Siamo nel pieno dei colli Piacentini, una zona veramente incantata, dai cui crinali si gode una vista spettacolare. Pochi chilometri e si rientra in Lombardia, nelle prime propaggini dell’Oltrepò Pavese e quando si arriva a Rovescala, lungo borgo che si distende su un crinale, la sosta è quasi un obbligo anche perché al punto critico mancano pochi chilometri, tutti in saliscendi.

Alla fine dell’ennesima discesa, lo sguardo segue le frecce e non vuole credere che il prossimo paese sia lassù, in cima a una salita che appare impraticabile. Lo è.
Anche un montanaro come me, con già tanti chilometri di cammino alle spalle deve arrendersi alla fatica. Le soste diventano sempre più frequenti, il fiato si fa corto e quando poco prima della sommità la sterrata diventa una colata di cemento ci si rende conto della verticalità del sentiero: probabilmente qui nemmeno i trattori riescono a salire con facilità.
Montù Beccaria è un piccolo borgo affascinante, arroccato su una collina su cui fa bella mostra di se un antico castello, distrutto dai Piacentini nel 1216 ma poi ricostruito.
Un consiglio spassionato: fermatevi nel primo baretto che incontrate dove, insieme a un drink rifrescante, invece delle solite patatine e noccioline servono pane e salame e scoprirete di esservelo meritato.
L’ottovolante riparte impietoso. Attraversando i vigneti va giù fino al fondo valle per poi sterzare bruscamente e riprendere a salire fino a Canneto Pavese dove pone fine al suo percorso. Da qui a Colombarone ci si muove lungo un dolce crinale da cui si godono strepitosi affacci sulle valli sottostanti.

Ormai mancano appena 3 chilometri alla fine della tappa. Per arrivare all’accoglienza c’è un’ultima salitina da fare, ma è poca cosa. Le frecce gialle della Via Postumia si appaiano a quelle della Via degli Abati per un po’, poi, al bivio per Castana, la prima gira a destra e scende verso Monteguzzo mentre la seconda tira dritta per il crinale.
Il B&B omonimo è un’oasi di pace accogliente, affacciata sulla vallata e sulle colline antistanti, dove svetta, con la sua torre, il Castello di Cigognola dove si arriverà nella tappa successiva. Gustare una cena abbondante preparata con amore e poco dopo godersi il tramonto sui vigneti circostanti sono il giusto premio per una giornata lunga e faticosa.
La trentunesima tappa: da Monteguzzo a Casteggio
Anche questa tappa è segnata da un ininterrotto cavalcare le colline e i crinali dell’Oltrepò Pavese e dall’inevitabile saliscendi che ne deriva. I panorami sono gli stessi, i vigneti sono ovunque e si rincorrono armoniosi disturbati solo da qualche minimo borgo e da alcune coloniche che ospitano le aziende vinicole che producono il Pinot nero e altre delizie.
Il primo traguardo del giorno è il castello di Cigognola che si staglia con la sua alta torre sulla sommità della collina di fronte.

Dall’accoglienza si scende fino a raggiungere la strada che percorre il fondovalle, e dopo averla attraversata, si affronta la prima salita del giorno.
Parte in sordina ma dopo poco più di un chilometro la pendenza si fa più impegnativa e quando si arriva ai piedi del Castello, la sosta è più che meritata.
Costruito all’inizio del XIII secolo, è racchiuso da una cinta muraria circondata da un terrapieno. Passato di mano in mano fra alcune delle famiglie più importanti della zona, ora ospita un’azienda vitivinicola che produce alcune fra le Cuvée più apprezzate dell’Oltrepò.

Dopo aver ammirato il paesaggio che si gode da lassù, si ricomincia a camminare scendendo velocemente fra sterrate e piccole strade di campagna fino a raggiungere la pianura e il borgo di Vicomune dove una brusca curva a gomito rilancia il viandante verso il crinale in direzione del minuscolo borgo di Pecorara.
Nemmeno il tempo di una sosta che la Via torna a scendere cominciando a farsi sentire sui muscoli anteriori delle cosce confermando il dato di fatto che la salita è si stancante, ma la discesa ti ammazza.

Fortunatamente la strada che si dirige verso il paese di Redavalle, paesaggisticamente parlando, è entusiasmante e attenua un po’ la fatica e anche il caldo. Si attraversa velocemente la propaggine più a est del paese e si prosegue in piano fino alla frazione di Manzo, dove il percorso affronta una nuova salita.
Le frecce gialle della Via Postumia guidano il viandante fra sterrate che scalano le vigne e costeggiano case di campagna fino a sbucare su una stradina asfaltata che porta a Castello, una frazione dove si può fare una sosta ammirando i bei panorami tutto intorno e cogliere stralci di conversazione fra qualche paesano che parla un dialetto incomprensibile ma pieno di melodia. Il bello di camminare è anche questo, assaporare le culture locali in qualsiasi modo siano espresse.
C’è una panchina davanti a un tabaccaio chiuso ormai da tempo, ed è il posto giusto per togliersi le scarpe, bere e integrare energie con qualche mandorla e un po’ di frutta.
La discesa successiva conduce direttamente a valle e il cammino si aggancia per meno di un chilometro alla Via Emilia. Per sua natura è una via trafficata e rumorosa e abbandonarla è cosa buona e giusta.

Si svolta a sinistra prima di raggiungere il centro di Fonderia e si affronta l’ultima salita della tappa, la più docile ma anche quella più dura da fare visti i dislivelli coperti fino a ora.
Quando si arriva al piccolo ma affascinante borgo di Mairano che merita una breve sosta per osservare l’ottocentesca Villa Marina, mancano circa venti minuti a Casteggio e si fanno tutti in discesa.
Castidium fu teatro di una feroce battaglia nel 222 a.C., in cui i romani sconfissero i Galli Insubri, vittoria che, di fatto, spianò loro la strada per la conquista della Gallia Cisalpina. Fu punto di passaggio della Via Postumia ma ebbe sorti alterne nel corso dei secoli, subendo distruzioni e dominazioni diverse.
Ora è una bella cittadina dalla lunghissima storia parte della quale è visitabile nel museo archeologico sito nel Palazzo della Certosa.
I 20 chilometri camminati da Monteguzzo a qui si fanno sentire tutti ma anche stavolta l’accoglienza è degna di nota. L’appartamento che Francesca, la proprietaria, mette a disposizione è accogliente e cucinare qualcosa, per uno come me che ai fornelli si diletta, è una grande gioia.
La trentaduesima tappa: da Casteggio a Voghera
Il confine con il Piemonte si avvicina e quando dopo 20 chilometri si arriverà a Voghera a varcarlo mancherà veramente poco.
Le salite di questa tappa sono lievi e rendono il paesaggio circostante ancora più godibile. Sono sempre le vigne a farla da padrone a testimonianza di una porzione d’Italia totalmente dedicata al vino.

A un certo punto, in cima a una salita, due alberi creano un grosso arco naturale verde, una specie di grande porta magica, almeno per come la vedo io; mi fa tornare in mente la porta della Via Francigena Toscana al passo della Cisa, ed è come se avesse la sua stessa, palpabile energia. Fa da punto di rottura fra un passato fatto di pianure, fiumi e paesaggi agricoli e un futuro che avrà nelle montagne il suo punto di forza. Attraversarlo è una sorta di stacco mentale, un’evoluzione positiva in vista degli ultimi giorni.
Si continua a salire e scendere dolcemente e ogni tanto, sul ciglio della strada appaiono delle piccole colonne che ricordano i partigiani uccisi, una cosa che mi fa stringere il cuore ogni volta.
L’asfalto si alterna a strade sterrate argillose che tagliano in due o costeggiano qualche vigneto; come da tradizione delle rose crescono rigogliose al termine dei filari testimoniando la salute della vigna, una tradizione antichissima.
Dopo l’ennesima salita si arriva nel bel borgo di Torrazza Coste, dove, complice l’ora, regna una quiete pazzesca. Fare una sosta è salutare, sia per sfilare lo zaino, sia per togliersi le scarpe e godere di un po’ di ombra.
Qui vicino ci sono gli Orridi di Sant’Antonino, curiose conformazioni rocciose che meriterebbero di essere viste ma la digressione avrebbe bisogno di più tempo per essere compiuta.

Dopo una colazione di rinforzo si torna a scendere e si passa davanti a una minuscola chiesetta che ha, sulla facciata, un bellissimo affresco che ritrae San Rocco nella sua iconografia classica con bordone, bisaccia, ferita sulla gamba e il fido cane al fianco.
Da lì la Strada continua in brevi saliscendi fino ad arrivare a Codevilla dove le vigne spariscono per lasciare nuovamente il posto ai campi coltivati.
Siamo nuovamente in pianura, l’Oltrepò è alle spalle e per entrare a Voghera ci s’immette su una ciclabile alberata prima e assolata poi che conduce fino in centro città.

L’ostello è in una sorta di dependance di un vecchio orfanotrofio, una struttura enorme che al suo interno ospitava una palestra e un teatro. È spartano ma accogliente e il viandante si adatta facilmente.
Voghera, a parte il duomo e il Castello Visconteo non offre molto ma posso dirvi che se Cremona era la città delle tre T, questa è la città delle tre P.
Anche in questo caso vi rimando a Google per saperne di più e vi do appuntamento al prossimo articolo, l’ultimo sulla Via Postumia.

Scopri tutte le tappe della Via Postumia
Continua il viaggio e scopri tutte le tappe:
La Via Postumia: Friuli Venezia Giulia
La Via Postumia: da Latisana a Treviso
La Via Postumia: da Treviso a Brendola
La Via Postumia: da Brendola a Monzambano
La Via Postumia: da Monzambano a Cremona
La Via Postumia: da Voghera a Genova
Tutte le foto che vedi in questo articolo sono di Andrea Vismara: se vuoi utilizzarle, ricordati di menzionarlo e taggare managaia.eco. Grazie!

Nasce a Roma l’11 ottobre 1965. DJ, musicista, fotografo, e appassionato di cucina. Ha pubblicato i romanzi Iddu – Dieci vite per il dio del fuoco (2014) e Bisesto (2018) per i tipi di Edizioni Spartaco. Da sempre accanito camminatore, pubblica per i tipi di Edizioni dei Cammini La mia Francigena (2016), I giorni di Postumia (2017) e la trilogia del Ricettario Pellegrino, diventando direttore editoriale ed editor della casa editrice. Nel 2020 ha dato vita al progetto artistico Rebois che unisce legno recuperato dal mare e vetro riciclato. Vive e lavora a Venezia.