Slow Fiber: un’alternativa al fast fashion

da | Mag 20, 2023 | news, second hand, vivere green | 0 commenti

Dall’associazione Slow Food, con l’adesione di 16 aziende, nasce la rete Slow Fiber, che propone i valori di un vestire etico, giusto e sostenibile.

L’iniziativa parte dalla consapevolezza dell’enorme impatto che la moda ha sull’ambiente. Slow Fiber propone una «rivoluzione, un cambiamento di paradigma della produzione, del consumo e, quindi, della percezione del tessile». Vediamo come.

Che cos’è Slow Fiber

Il progetto Slow Fiber prende vita dall’incontro di Slow Food – l’associazione senza scopo di lucro interessata a ridare il giusto valore al cibo e all’intera filiera produttiva – con 16 imprese italiane occupate nel tessile e nell’arredamento: Oscalito, L’Opificio, Quagliotti, Remmert, Pettinatura Di Verrone, Tintoria 2000, Angelo Vasino Spa, Olcese Ferrari, Tintoria Felli, Dinole, Holding Moda, Lanecardate, Italfil, Pattern, Maglificio Maggia, Vitale Barberis Canonico.

Creare prodotti belli, sani, puliti, buoni, giusti e durevoli e rendere la filiera sostenibile, promuovendo allo stesso tempo un consumo più consapevole, sono i primi passaggi per avviare un cambiamento culturale e produttivo nel settore tessile.

Slow Food contro il fast food e Slow Fiber contro il fast fashion: la dicotomia veloce-lento ha a che fare con un sistema di valori totalmente agli antipodi, in cui produzione-consumo-smaltimento (e la loro influenza sul valore del prodotto e sulle risorse che sfruttano) viaggiano a due velocità completamente diverse.

Il progetto nasce dalla consapevolezza del grande impatto che i prodotti tessili hanno su ambiente, lavoratori della filiera e salute dei consumatori e dalla volontà di divulgare una sensibilità diversa, anche attraverso la partecipazione diretta di aziende che rendono la sostenibilità ambientale e sociale centrali nel loro operato quotidiano.

L’impatto del fast fashion

Un report della Commissione Europea ha evidenziato che tra il 2000 e il 2015 la produzione legata all’ambito della moda è praticamente raddoppiata. Si stima poi che entro il 2030 potrebbe verificarsi un aumento del 63%.

Molti dei capi che abbiamo nell’armadio non vengono utilizzati abbastanza da giustificarne l’acquisto e addirittura la produzione. In Europa, ogni anno, ben 5,8 milioni di tonnellate di prodotti tessili diventano rifiuti, circa 11 kg a persona.

Nel continente, il settore tessile è il quarto più inquinante, rientra tra i primi cinque produttori di gas serra e tra i tre che sprecano più acqua.

Diventa sempre più impellente riuscire a modificare i processi produttivi e il modo di consumare le risorse, a partire da una nuova etica del consumo, in settori come quello alimentare (è in questo contesto che si muove da più di trent’anni Slow Food) e in quello tessile e dell’arredamento. Le fibre che compongono i nostri abiti derivano da risorse naturali: tutelare ecosistemi e biodiversità deve far parte del processo produttivo che anche i consumatori devono conoscere per poter fare scelte consapevoli e attente. È necessario un cambio di rotta tanto della produzione, quanto della consapevolezza dei consumatori.

Nuovi valori

L’ascesa del fast fashion, con la necessità di creare e consumare prodotti a basso costo, anche a discapito della qualità, porta con sé una serie di conseguenze implicite: inquinamento ambientale, sfruttamento della manodopera, omologazione dei prodotti, aumento degli sprechi e dei rifiuti, appiattimento dei consumi e delle competenze dei produttori.

Slow Fiber sceglie invece di promuovere prodotti sani (rispettosi quindi dei lavoratori, dei consumatori e dell’ambiente), belli (l’alta qualità estetica del prodotto può e deve coincidere con la sostenibilità), durevoli (e senza tempo), puliti (ovvero meno impattanti sull’ambiente), buoni e giusti (un modello industriale che tenga al centro le persone e l’ambiente).

Tag:

Post correlati